LA BELLEZZA PERDUTA

di Giuseppe Strappa

in “Corriere della Sera” del 15 febbraio 2013

PAOLO CAPRIOLI AG. TOIATI Decordo, ordinanza antibivacco del sindaco nelle aree di pregio storico e artistico.

Non si può non apprezzare l’eleganza, da mecenate d’altri tempi, della fashion house Fendi. Oltre due milioni di euro elargiti per il Restauro della Fontana di Trevi senza chiedere, per i due anni di lavori, una sola immagine pubblicitaria sulle transenne di protezione. Anche chi, come me, non ama le griffe, guarderà d’ora in poi con maggiore simpatia le nuvole di F impresse sulle borse dell’antica impresa romana. La quale avrà pure il suo ritorno d’immagine, ma in modo discreto, subliminale, si direbbe.

Perché Fontana di Trevi, triplo nodo di vie d’acqua, è anche uno dei grandi nodi della memoria universale, un groviglio d’immagini che lega insieme il prorompente carro di Oceano, la barocca sensualità di Anita  Ekberg, il dinamismo delle volute di pietra, le monetine e il sole di Roma riflessi nella grande vasca disegnata da Nicola Salvi.

Si va alla Fontana, cinesi, russi, brasiliani, ognuno con la propria immagine privata, quasi per vedere se esista davvero: ognuno fotografa ma nessuno guarda, come se cercasse non la gioia dello spettacolo fastoso e irripetibile, ma una certificazione, una prova.

Proprio questo fiume di turisti sempre in piena, quest’ansiosa curiosità globale che alimenta un commercio invadente e senza ordine, pone il vero problema della tutela della Fontana. Se, infatti, il suo restauro architettonico è indispensabile, è ancora più urgente restituirne il valore urbano, lo splendore dello spazio che genera e le si avvolge intono invadendo piazza di Trevi.

Una bellezza perduta, trasformata com’è in un groppo di degrado che s’irradia nelle vie circostanti. Il povero visitatore che percorra la strada dal Pantheon alla Fontana, costretto a passare per le forche caudine di file ininterrotte di tavoli, s’immerge in un mondo senza dimensione, in un magma di bandiere della Ferrari, colossei di plastica, centurioni con colli di peluche leopardati, bancarelle dove l’umano stenta a ricavarsi un varco.

Una potente risorsa economica come il turismo si trasforma così in un danno. Dopo aver rovinato le nostre coste dove, tra condomini e casette abusive, nessun forestiero ormai passerebbe le vacanze, dopo aver distrutto la fiorente agricoltura della campagna romana convertita in una periferia diffusa, ora stiamo trasformando i nostri spazi storici in luoghi invivibili, dove il turista si ferma il meno possibile lasciando solo i pochi spiccioli dei menù a presso fisso.

Una follia collettiva che quest’ Amministrazione ha spinto a limiti estremi, ma che ha radici lontane, nella disinvoltura con cui per tanti anni sono stati rilasciati permessi e si sono evitati i controlli.

Eppure, per ridare almeno un po’ di decoro agli spazi più preziosi e fragili della nostra città, non servirebbero milioni ma una ragionevole volontà di governare le trasformazioni in atto. Basterebbe un “restauro dell’uso delle aree pubbliche” da eseguire con poche regole, ma chiare, con qualche divieto elementare, ma rispettato.  Un’utopia si direbbe, nella Roma dei nostri giorni.

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