“Poche cose a Roma risultano attraenti, scriveva Henry James, quanto il misurare con lo sguardo la lunga linea perpendicolare delle tubature che dalle finestre abitate del palazzo ……. giunge fino all’opera muraria scabra e irregolare dell’epoca repubblicana.” Come prima di lui Montaigne e Montesquieu, lo scrittore americano subiva il fascino misterioso della stratigrafia naturale-artificiale di una città dove le costruzioni moderne apparivano escrescenze dell’architettura antica e, attraverso questa, sembravano “quasi ritornare alla primitiva, tirannica coesione con la roccia vergine”.
Se si dovesse costruire un grande museo archeologico per Roma capace di mostrare l’essenza di una costruzione continua che si rigenera sulle proprie rovine , forse bisognerebbe scavarlo nelle viscere della terra, ricomponendo una nuova, labirintica continuità tra i ruderi sepolti . Rovine da non riportare alla luce del sole ma da custodire nelle ramificazioni del sottosuolo, per riproporre al visitatore l’enigma di sezioni di città infinitamente complesse, illustrargli l’ insospettabile vitalità delle permanenze antiche nel determinare, a distanza di secoli, la forma della città moderna. Si svelerebbe allora, sotto l’apparente confusione del tessuto edilizio attuale, l’ ordine della storia ( di tutte le storie: repubblicana,imperiale, medievale) che genera il molteplice della metropoli contemporanea. E verrebbero preservate, anche, le innumerevoli relazioni che lo scavo archeologico distrugge fissando le testimonianze del passato in un tempo assoluto , privilegiato dall’aura dell’Antico.
Un’ipotesi tutt’altro che irrealistica , se è vero che un consistente embrione di questo museo immaginario già esiste: una vasta, dimenticata struttura ipogea sepolta sotto piazza Madonna di Loreto, accanto al Monumento a Vittorio Emanuele II , costruita al termine della campagna di scavi condotta tra il 1926 ed il ’33 nei Fori Imperiali. Spazi preziosi, mai aperti al pubblico che oggi, ad un costo limitato, potrebbero essere immediatamente utilizzabili : circa 2000 metri quadrati protetti da una copertura in calcestruzzo armato sulla quale poggiano strade e giardini moderni, sostenuta da pilastri collocati nella stessa posizione delle antiche strutture di sostegno. In questi ambienti Corrado Ricci fece disporre i frammenti, a volte giganteschi, venuti alla luce dagli scavi ai Mercati e al Foro di Traiano.
Un nucleo al quale si potrebbero collegare i grandi spazi abbandonati sotto le volte che sostengono la scalinata dell’Altare della Patria (distanti pochi metri dall’esedra sommersa della Basilica Ulpia), gli immensi vuoti delle cave di tufo sotto il Campidoglio visitati da Sacconi quando si costruivano le fondazioni del Vittoriano, e perfino nuovi percorsi che colleghino e rendano visitabile il sistema di passaggi, gallerie,cunicoli, che conduce al teatro di Marcello.
Gallerie e spazi sepolti di collegamento tra grandi aree monumentali aperte: un sistema museale continuo, gigantesco, articolato nel cuore stesso di Roma, degno di una grande capitale, il cui costo sarebbe ripianato da pochi anni di apertura al pubblico.
Lo spazio attuale comprende l’esedra che circondava la Colonna Traiana e una delle biblioteche (ne esisteva una greca e una latina) del Foro. Gallerie cieche si intravvedono sul fondo e sembrano dirigersi verso il Monumento a Vittorio Emanuele come sondaggi proiettati verso un’ ignoto universo notturno. La parte più vasta si svolge sull’ abside occidentale di quella Basilica Ulpia, che l’architetto Apollodoro di Damasco aveva posto a chiusura del vasto recinto del Foro “ricostruendo artificialmente il crinale della primitiva sella, asportata, tra il Campidoglio e il Quirinale, a confutare il semplicistico luogo comune che vuole l’architettura romana antinaturalista” come afferma Lucio Barbera, architetto e cultore di antichità romane e assessore uscente al centro storico e alla cultura . Al quale chiediamo la ragione dell’insensato stato di abbandono dei locali . Barbera descrive il sistema perverso di veti incrociati che rispecchia la miopia di interessi parziali, che svuota di senso ogni strategia. Un sistema capace di trasformare ogni nuovo programma in territorio di conflitto tra poteri diversi, distanti, gelosamente custoditi . Eppure si direbbe che (il condizionale è d’obbligo) il piano per la “valorizzazione e musealizzazione” dei Fori Imperiali destinato a rendere finalmente visitabile il Foro di Traiano, collegandolo anche a quello di Augusto e di Nerva, stia davvero per essere attuato. I fondi, un miliardo e mezzo, sono stati messi a disposizione nel ’90 dalla Regione Lazio in base alla legge regionale 37/88 per l’occupazione giovanile. Era previsto che gli spazi coperti fossero consegnati nel febbraio del ’92. Ad un anno di distanza si intravede solo la speranza di iniziare i lavori ma forse, con i tempi che corrono, non è nemmeno poco. Secondo il progetto della cooperativa Archeoprogramma coordinato dall’archeologo Eugenio La Rocca, da poco nominato Soprintendente, l’ingresso avverrà ristrutturando l’accesso inutilizzato accanto alla Colonna Traiana, proprio sulla copertura del museo sotterraneo che verrà in parte aperto al pubblico, in parte utilizzato provvisoriamente come laboratorio per lo studio dei reperti, in attesa di una progressiva sistemazione espositiva.
Ma le idee di Barbera sono ben più ambiziose: l’architetto parla di come si potrebbero scavare progressivamente, con continuità rispetto ai tanti piani che dal secolo scorso si sono succeduti, altre parti dei Fori, collegarle tra loro, rendere percepibile “una città profonda 3000 anni”. L’immagine antica, lo splendore abbagliante dei marmi (il bianco dei pavimenti, il “pavonazzetto” delle colonne, l’oro del “giallo antico” tunisino), è andata perduta per sempre. Ogni tentativo di riproporla, dalle interpretazioni dei plastici un po’ stucchevoli di Gismondi alle recentissime, volgari restituzioni da cartoonist finanziate dalla Fondazione Getty , non restituiscono che lontani fantasmi dell’antico. Rimane, invece, la vocazione ipogea di molti spazi archeologici romani, confermata dalle tante presenze sepolte dovunque nelle viscere della città: le cripte a contatto con i resti antichi, i mitrei, i ninfei interrati, le carceri, i cimiteri insieme a grandi strutture inesplicabili come la basilica nascosta nel sottosuolo di Porta Maggiore.
Una cognizione , da raccogliere in termini moderni, consolidata dalla memoria di viaggiatori, artisti, poeti di una Roma sotterranea, misteriosa, magica. Una città dove si ha la sensazione di camminare “sul culmine di case intere” come scriveva Montaigne e dove, secondo le parole di Goethe “Roma è succeduta a Roma, e non soltanto la nuova sopra l’antica, ma le varie epoche della nuova e dell’antica l’una sull’altra” .