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LA SPERANZA OLTRE L’OUTLET

di Giuseppe Strappa

in «Corriere della Sera» del 08.12.2007

Urbs 2007, il forum internazionale sulle trasformazioni urbane appena concluso, ha posto il problema della forma del nostro territorio che sembra dissolversi sotto la spinta di trasformazioni incontrollabili. Ipermercati, centri di divertimento, giganteschi cinema multisala sono i nuovi poli localizzati dalle leggi del mercato, persi tra strade che finiscono nel nulla e relitti di fondi agricoli. Il simbolo deputato di questa frammentazione sono gli outlet della moda, come quelli di Valmontone o Castel Romano. Rassicuranti villaggi del consumo, recinti magici di abiti griffati che rivolgono verso l’interno facciate cordiali, rassicuranti. Ma guai ad uscire dalla recinzione! Il retro di queste scenografie è terribile, desolato: ci si aspetta un omicidio da un momento all’altro, ha commentato Richard Ingersoll.
Questo territorio instabile ha dato luogo al fiorire di una poetica del mutevole e del provvisorio, ad un vero e proprio genere letterario/architettonico affollato di “ibridazioni”, “meticciati” “transumanze”. Finendo per creare una sorta di consenso estetico al disastro.
Lo sprawl urbano, la dispersione della miriade di costruzioni che riempiono i vuoti tra un’Ikea e uno svincolo autostradale, finisce così per trasformarsi da problema in modello di sviluppo. E nascono le teorie della fine: il tramonto della città, del tessuto urbano, del paesaggio, mentre nuove generazioni di architetti si formano nell’ammirazione dei “non luoghi”. Anche questo è un problema. Perché noi leggiamo nel territorio, come in qualsiasi testo, quello che desideriamo riconoscere. Ogni lettura è, in fondo, anche un progetto.
Forse bisognerebbe riscoprire la fiducia e il desiderio dell’uomo, in ogni epoca, di “organizzare”, rendere organico l’ambiente in cui vive. Roma, come ha notato Vittorio Gregotti, è la sola grande città che sembra mostrare ancora, pur tra infinite contraddizioni, questa fiducia dandosi un piano regolatore. E qualcuno comincia a chiedersi, anche fuori d’Italia, se non sia la strada giusta.