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IL RESTAURO DELLA VILLA GREGORIANA A TIVOLI

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di Giuseppe Strappa

in «Corriere della Sera» del  16.09.2003

L’intervento di recupero della Villa Gregoriana a Tivoli segna una tappa importante nella tutela del nostro patrimonio storico per l’ eccezionalità del luogo e per il metodo seguito nel progetto di restauro.
Il grande parco ha infatti dato forma, per almeno un secolo, all’idea romantica  della natura che riconquista e riassorbe l’architettura disfatta dallo scorrere del tempo. La costruzione come fragile momento di passaggio nel fluire dei grandi cicli delle trasformazioni naturali espressa da due poli estremi: da una parte l’ordine luminoso e geometrico evocato dal tempio circolare che si eleva nitido sullo sperone dell’acropoli tiburtina, pietrificazione della primitiva capanna di tronchi d’albero; dall’altro l’universo arbitrario, il baratro selvatico nel quale irrompe la furia distruttrice dell’Aniene che, liberato dalla pressione delle condotte, precipita tumultuoso nell’abisso della forra. La topografia leggendaria che Piranesi riporta nelle incisioni  dei templi di Vesta e della Sibilla a Tivoli (le rovine classiche, la forma organica della capanna-tempio che ritorna allo stato di natura, il mondo della costruzione che si dissolve in quello della botanica) è forse l’interpretazione più fedele di questa nuova sensibilità che, diffusa da viaggiatori e artisti, avrà un ruolo centrale nella cultura europea per almeno mezzo secolo.
Cultura della quale, a sua volta, la Villa Gregoriana è diretto portato. Non a caso il suo singolare costruttore, papa Clemente XVI (teologo colto e cupamente conservatore, orientalista, fiero nemico di qualsiasi innovazione) possedeva una naturale inclinazione per la classicità mitizzata e una solida passione per la botanica, di cui sono segni eloquenti la ricostruzione della Basilica di S. Paolo fuori le Mura e la fondazione dell’Orto botanico avvenute sotto il suo pontificato. Il parco abbandonato di Villa Gregoriana, con il suo stratificarsi di edifici di culto, annodarsi di percorsi devozionali, disperdersi di meandri rocciosi e grotte a strapiombo sul precipizio dell’Aniene, non è dunque solo un luogo reale, straordinario e terribile: è anche un testo immaginario, il nodo virtuale di un’intera fase dell’estetica europea anticipata da Laugier e Burke.
Per questo l’importanza dell’intervento affidato al FAI risiede anche nel metodo col quale si intende restituire la forma della Villa. Restituzione che, non potendo obbedire alle sole ragioni della tecnica, diviene essa stessa sintesi critica. Il programma di recupero diretto da Tamara Kirova sperimenta, dunque, una nuova alleanza tra saperi (storico, archeologico, naturalistico, archivistico, idraulico, geologico) contro l’attuale frammentazione delle competenze che vede ogni disciplina arroccata nella difesa, gelosamente tecnica e in fondo  regressiva, delle proprie specificità. I cui effetti disastrosi sono peraltro sotto gli occhi di tutti.
Ne nasce una nuova, fertile definizione di restauro del paesaggio come sintesi organica e progettuale, dunque architettonica, delle discipline che collaborano unitariamente al recupero della forma, del senso, dell’identità storica del territorio.