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LA SVENDITA DEL FORO ITALICO

 

 

di Giuseppe Strappa

in «Corriere della Sera» del 11.04.2004

 

 

Ancora negli anni ’80, lo Stadio dei Marmi appariva al visitatore in tutta la sua sorprendente, metafisica astrattezza. Varcando l’ingresso dell’Accademia di Educazione Fisica incorniciato dal grande arco rosso pompeiano, si presentava la scena di uno stadio popolato di atleti pietrificati, sorpresi e fissati negli atti consueti delle attività sportive.

Le grandi statue si stagliavano ancora, bianchissime nel bagliore solare del marmo delle Apuane, contro la quinta verde della collina di Monte Mario. Ci vollero gli interventi per i Mondiali di calcio del ’90 e l’irruzione delle volgari strutture di copertura dell’Olimpico per distruggere il misterioso equilibrio del paesaggio disegnato da Del Debbio.

In realtà, a tre quarti di secolo dalla sua costruzione, il Foro Italico si presenta come un gigantesco monologo di marmo che riassorbe e unifica ogni singolo contributo: lo straordinario monumento all’altra faccia della modernità che non ammette alterazioni, il cui uso va dosato con la cura amorosa che si riserva alle architetture antiche.

Eppure i guasti del ’90 non hanno insegnato nulla e si prevedono altre distruzioni, cupamente annunciate dalla spirale di debiti nelle quali si avvitano le squadre di calcio e dalla disperata ricerca di risorse per risanarne i bilanci.

La lotta per il Campionato si combatte, ormai, a colpi di centinaia di milioni di euro. In questa selvaggia epopea d’indebitamenti vertiginosi e cinici eroi che si offrono al miglior offerente in condizioni di monopolio, salvare lo spettacolo globale diviene un drammatico problema di Stato.

Accade così che per alimentare questo voracissimo e chiassoso circo planetario si sia disposti a svendere la nostra eredità moderna. Perché di questo si tratta. Anche se nelle proposte che vengono presentate in questi giorni si assicura, ipocritamente, il rispetto delle architetture, i futuri gestori (finanzieri, squadre di calcio, imprenditori) parlano solo di poli di divertimento, centri per lo shopping, discoteche all’aria aperta, dove il “valore culturale” diviene un accenno rituale e grottesco.

Non un progetto che riguardi la reale salvaguardia delle architetture, non un piano credibile di tutela quando, già oggi, l’uso intensivo delle strutture del Foro continua a produrre danni irreparabili. Abbiamo visto tutti, su questo giornale, l’orrore sbattuto in prima pagina, i brandelli dei mosaici della Fontana della Sfera, fatti a pezzi nel corso dei tumulti seguiti al mancato incontro Roma-Lazio, raccolti in una carriola come in un pietoso sudario.

Certo, the show must go on e non sarà il rispetto per le architetture disegnate da Del Debbio o Moretti, per i mosaici di Rosso o Canevari che lo fermerà. Eppure la colossale massa di denaro che muoverà l’operazione “Città dello Sport” potrebbe, vorrei suggerire, non solo risanare i disastrati bilanci delle squadre capitoline, ma costituire anche l’occasione per realizzare nuove, scintillanti architetture “autenticamente contemporanee”. Ma il più lontano possibile dal Foro Italico.