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VIA ANDREA DORIA. IL MERCATO OMOLOGATO

di Giuseppe Strappa

in «Corriere della Sera» del 22.07.08

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Sulle facciate delle case popolari del Trionfale il tempo ha trascritto i propri segni. Come in uno spartito che fonde le dissonanze, l’architettura ha finito per generare, qui, una qualche quotidiana armonia che gli abitanti colgono come identità. Un sentimento d’appartenenza che va letto con leggerezza anche nell’ironica messinscena dei suoi architetti, nella romanità di De Renzi, nelle citazioni neomedievali dei casermoni ICP.
Le forme di questi edifici s’impastano, infatti, nella memoria e generano l’immagine ospitale del quartiere, il magma caldo di tante storie di architetture illustri od oscure che rifluiscono in una forma urbana unitaria, capace di accogliere il caos della vita contemporanea.
Una forma che sembra spezzarsi, oggi, per la violenza delle nuove, lucide pareti che già si allungano, brutali, tra le vecchie quinte di via Andrea Doria, a conclusione di una travagliata vicenda edilizia iniziata con la demolizione del vecchio mercato e la gara di project financing del 2002 per la sua ricostruzione, con l’aggiunta di sei piani di uffici e servizi privati.
L’occhio non riesce ad abituarsi a queste forme, né la mente riesce a comprendere per quali ragioni il familiare carattere plastico e murario del quartiere sia stato sostituito dalla banalità del vetro a specchio, dai segni di un’ omologazione disinvolta e sguaiata che rende ormai simile la periferia di Atene a quella di Hong Kong.
Queste scintillanti vetrate non indicano, in realtà, la modernità che irrompe nella città e rinnova i tessuti, ma l’indistinto che ne mina la qualità, che scardina il legame cordiale tra le forme degli isolati.
Ed è un destino singolare che questa architettura/astronave, che non cerca una propria strada originale e preferisce raccogliere i cascami delle mode internazionali, sia atterrata proprio tra il cinema Doria e la”Casa dei bambini” in via di Lauria, tra due autentici capolavori che Innocenzo Sabbatici ci ha lasciato come esempi di una civile, affettuosa architettura di quartiere.