Tag Archives: FRINGE BELT

Attualita’ della proposta di M.R.G. Conzen

Attualita’ della proposta di M.R.G. Conzen

Giancarlo Cataldi, Gian Luigi Maffei,  Marco Maretto, Nicola Marzot, Giuseppe Strappa

Presentazione del libro L’analisi della forma urbana (Franco Angeli, Milano, 2012) edizione italiana del libro di M.R.G. Conzen, Alnwick, Nurthumberland. A study in Town Plan Analysis Institute of British Geographers, London 1960

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’edizione italiana dello studio su Alnwyck riveste, a nostro avviso, un significato che va oltre la documentazione dell’analisi esemplare di una piccola città inglese ai confini con la Scozia, per acquistare un senso più generale.

Con la fondazione dell’Isuf (International Seminar on Urban Form), nel 1994, gli studiosi italiani di morfologia urbana hanno scoperto il patrimonio di conoscenze della scuola geografica inglese che fa capo a M.R.G. Conzen, illustre geografo di origine tedesca autore dello studio che qui presentiamo, e dei suoi continuatori, J.W.R.Whitehand, T.R. Slater, P. Larkham, K.Kropf, oltre al figlio Michael Conzen.

Non solo ne veniva riconosciuta l’affinità con molte delle proposte sviluppate dalla scuola italiana, sulla scia dell’insegnamento di Saverio Muratori, ma, soprattutto, se ne costatava la reciproca complementarità ponendo finalmente le basi concrete, dopo tanto parlare di rapporti interdisciplinari, di un lavoro comune attraverso il quale geografi e architetti potessero condividere, all’interno di uno stesso terreno di studi, metodi di ricerca e, ci si consenta il termine, “vocazioni” comuni. Perché, questo è il punto, il lavoro di M.R.G. Conzen dimostra una spiccata propensione a interpretare la città e il territorio come sintesi vitale di un flusso di esperienze storicamente individuate. M.R.G. Conzen ha compreso in modo operante, in altre parole, quello che per noi costituisce la sostanza stessa dell’architettura: che ogni forma (del territorio, della città, degli edifici) è il risultato di un processo, della progressiva associazione organica di parti, e che ha senso scomporla e indagarne le componenti solo se si tiene conto della sua sostanziale unità e indivisibilità. Possedeva, dunque, una nozione di organismo urbano e territoriale che, mai espressa attraverso esplicite definizioni, ha operato come un sostrato profondo nel dare coerenza “architettonica” alla struttura teorica della propria indagine.

Questo dato costituisce uno dei grandi motivi d’interesse dello studio su Alnwick, ma anche, riteniamo, la ragione dell’attualità della proposta di M.R.G. Conzen: lo sforzo di comprendere la forma delle cose non per quello che sono, ma nel loro divenire storico permette, infatti, di leggere anche le condizioni di lacerazione della forma del territorio contemporaneo come stato di transizione, momento provvisorio di una trasformazione continua il cui carattere è, in questo, non troppo diverso da quello città medievale in perenne cambiamento, ed è informe solo per chi non sappia leggerne la latente aspirazione alla composizione e all’unità. E’ proprio questa aspirazione a riunire il molteplice, più che l’unità in se, a dare forma alle cose e senso al progetto.

In questo senso la lettura di Alnwick è l’individuazione di una teoria: la storia perfetta di un piccolo borgo narrata nelle sue fasi formative fino alla condizione contemporanea. Fasi ricondotte a provvisorie unità da un singolare “epos geografico” che individua, rende cioè unici e irripetibili, comportamenti generali che la lettura riconosce come patrimonio comune di molti altri insediamenti e territori dove la forma del suolo e il lavoro dell’uomo stabiliscono una solidarietà riconoscibile come “tipica”.

E’ di natura architettonica, inoltre, una delle principali innovazioni nella lettura del territorio introdotte da M.R.G. Conzen, quella di fringe belt, che ha a che fare direttamente non solo con la documentazione che il cartografo riporta attraverso convenzioni, ma con la lettura critica, che coincide con il progetto delle trasformazioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si tratta di una nozione complessa, cui è impossibile associare un termine italiano, tant’è che nella traduzione abbiamo dovuto impiegare una perifrasi ma capace di fertili traslazioni dall’ambito strettamente geografico a quello progettuale, contribuendo a cogliere, oggi, alcuni caratteri fondanti dell’instabile metropoli contemporanea. In realtà le idee affini di “perimetro” e “confine” sono state da qualche tempo alla base della lettura di qualsiasi forma del costruito, in particolare nel campo degli studi urbani condotti da architetti, mettendo in luce, tra l’altro, la storica contrapposizione tra città e campagna e il suo disgregarsi nel magma dello Spratly urbano. Eppure esse sono capaci di cogliere solo uno degli infiniti stati di transizione, semplificando le letture ma anche riducendone il significato. Propongono, in altre parole, uno sviluppo discreto di un processo in realtà continuo e che procede, nondimeno, per fasi di accelerato sviluppo seguite da altre di rilevante stasi. La nozione di fringe belt coglie invece le trasformazioni intermittenti del perimetro nel loro fluire: non solo come confine, ma come premessa di una nuova struttura dapprima fluttuante e incerta (liquida, si direbbe oggi) che si consolida, viene demarcata e diventa più stabile nel tempo. Compresa a fondo, l’innovazione terminologica e metodologica conzeniana permette di interpretare la frammentazione delle periferie urbane non semplicemente come caotiche, e per questo indecifrabili, lacerazioni, ma nel loro significato autentico di strutture in formazione, delle quali vanno riconosciuti caratteri evidenti e potenziali.

Questa innovazione, rivolta alla realtà dei fenomeni in atto, sembra oggi tanto più attuale, quanto più le analisi urbane si vanno distaccando dallo sviluppo dei fenomeni concreti.

E’ in questo senso che l’edizione italiana dello studio su Alnwick ha il significato, come si diceva, di una proposta alternativa: individua un fronte comune contro la deriva astraente di molte delle riflessioni contemporanee sull’architettura alle diverse scale del territorio, della città, degli edifici. Ci confrontiamo oggi, infatti, con una crisi dai caratteri ignoti nelle grandi fasi di transizione del passato, dove la lettura indiretta e mediatica del mondo costruito va sostituendo la conoscenza diretta della realtà, svincolando la forma progettata dalle relazioni organiche che dovrebbero tenerla unita agli altri aspetti dell’uso del territorio. Smarrendo, in fondo, le basi che permettono di leggerne la reale complessità e di cogliere l’istanza a quel vicendevole rapporto di necessità tra le parti che il grande flusso delle modificazioni del paesaggio costruito, forse più che nel passato, oggi ci pone.  Senza la nozione di organismo urbano, senza la forma data da un confine pur mutevole e strutturante, la lettura di una condizione in rapida trasformazione, gli spazi dei margini irrisolti della città contemporanea acquistano il significato, suggestivo quanto inutilizzabile, di grandi schegge in conflitto tra loro. Lo spazio delle nostre periferie finisce così col ricadere nel grande mare del pittoresco metropolitano, dei territori “ibridi e vaghi”: la città reale come combinazione fortuita, uno dei tanti casi del possibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si vedano, per convincersene, le interpretazioni della città contemporanea (da Virilio a Koolhaas) che hanno conquistato intere generazioni di architetti, dove la metropoli diviene un luogo della mente che racchiude personali rappresentazioni delle trasformazioni in corso, livelli sovrapposti di “architetture eventuali”, layers di realtà possibili e discontinue, secondo una cultura disciplinare che organizza, di fatto, il consenso alla crescita della metropoli contemporanea per addizioni ininterrotte e seriali.  E’ evidente, se solo si alza lo sguardo al di sopra delle contingenze, come la funzione dell’architettura sia ancora quella dell’arte borghese, ancora quella tafuriana di “allontanare l’angoscia introiettandone le cause” che racchiude, anche, l’ambizione di progettare la casualità del molteplice letto nei suoi frammenti separati: l’evocazione della complessità contro la sua soluzione. Scomparsa la pertinenza con la propria fase storica e con la propria area culturale (tolte dal loro tumultuoso contesto economico e antropico) le forme si trasformano in oggetti di evocazione. Una tecnica di seduzione, dove le contraddizioni sembrano di volta in volta, illusoriamente e paradossalmente, sciogliersi nell’eccesso dello spettacolo.

Non è, dunque, un caso che lo studio su Alnwick, e la proposta di metodo che contiene, siano proposti al lettore italiano proprio oggi, quando la produzione neoromantica dello star system internazionale pone quesiti sul ruolo stesso dell’architetto, sulla sua funzione anestetizzante di mediazione culturale e politica.

Comprendere il testo di M.R.G. Conzen significa scoprire (o confermare) una via d’uscita: leggere il territorio e la città contemporanei non come semplice, apparentemente neutrale constatazione di come essi ci appaiono, ma come processo operante e conflittuale, che permette di interpretare, scegliere, disegnare in continuità col grande flusso di trasformazione del costruito e della sua storia.

 

 

 

OBSERVATIONS ON URBAN GROWTH

 

 

 

 

 

FrancoAngeli, Milan 2018

OBSERVATIONS ON URBAN GROWTH    
edited by Giuseppe Strappa

 

CONTENTS
Presentation
The form of expanding cities  – Giuseppe Strappa
Metropolis in transformation .

A study of fringe belts in Belo Horizonte, Brazil:
a contribution to developments in urban morphology
Staël de Alvarenga Pereira Costa, Karina Machado
de Castro Simão »

The contemporary metropolis growing.
The case-study of Buenos Aires
Anna Rita Donatella Amato »

Urban densification, vertical growth and fringe
in American cities
Paolo Carlotti »

Guangzhou-Foshan Metropolitan Area.
An adaptive notion of urban fringe belt for the
continuing Chinese city
Anna Irene Del Monaco

The growth of traditional cities

Post-industrial Eindhoven and its radial fringe belt:
A morphology of contemporary urban growth
Daan Lammers, Ana Pereira Roders, Pieter van Wesemael »

Conquest of organicity within the Liège’s 19th-20th
century serial-linear tissues
Matteo Ieva »

From urban nodalities to urban fringe belts.
The case-study of Krakow
Marco Maretto »

Urban growth of Turkish cities
Tolga Ünlu »

The Hybrid, the Network City and the Territory
“elsewhere”.The contemporary “fringe” condition in
north European urban phenomena
Nicola Marzot »

————————————————————————

PRESENTATION

THE FORM OF EXPANDING CITIES
Giuseppe Strappa

The reading of the changes underway at the edges of contempo¬rary cities, where the countryside – often already partly urbanised – densifies and turns into urban matter, is one of the most difficult sub¬jects to tackle methodically. Proof of this is the descriptive literature produced on the topic, where depictions of an inextricable complexity and the suggestion of fragmentation, particularly amongst architects, have become true literary genres in themselves. The obvious obstacle is that the forms in which expansion takes place continuously evolve in time and space and seem beyond any rational, general law, while following a comprehensible process is an essential condition for the construction of a study method that can be communicated (and there¬fore of a design).
The growing complexity of the phenomena that develop on the edges of the built environment, where rural areas prepare for change in ways that seem continually different, can be clearly recognised in post-industrial cities, but the uncertainty inherent in the tools we use to understand and monitor them was already apparent in the post-war period: the very period that attempted to create a limit to the irrational¬ity of cities in chaotic expansion by developing new tools for under¬standing them.
As far back as the 1960s, the Conzenian school offered a clear inter¬pretation of these phenomena, attempting to generalise instances of interpretation developed for individual cities. This method originated in Alnwick’s exemplary study (Conzen, 1960) which, for that matter, we have published in an Italian edition due to the usefulness of the in¬formation it contains. The notion of fringe belt, which arose with these geographical studies – and initially fell on deaf ears (Whitehand, 1996) – was taken up with greater conviction in recent times, becoming a tool for analysis adopted by both architects and town planners.
The method is based on recognising the urban plan, building types and land use as essential factors in determining the kinds of changes that take place. The common features of one or more of these factors allow us to distinguish fairly uniform areas (morphological regions), allow¬ing us to construct models of expansion where we can distinguish forms and phases.
While the resulting model is spatially fairly simple, based as it is on successive rings that move out from the urban centre, its application to the actual built environment is rendered more complicated by the discontinuity of expansion, which usually occurs in stages of rapid growth alternating with periods of relative construction stagnation. M.R.G. Conzen discovered the link between these various phases of consolidation of the urban perimeter and the particular features of building types and land use that determine its form. This is interpreted as the relationship between the result of centripetal forces – particu¬larly obvious in the formation of the inner nucleus, the Central Busi¬ness District (CBD) – and centrifugal forces that push out towards the edges, infrastructure that does not require immediate access, as well as low-density single-family housing.
This relationship between phases allows us to define the concept of ‘fringe belt’ as one that is linked to an urban phenomenon that recurs over time, that takes place at the margins between urbanised and rural areas when the growth of housing fabric stops or slows down abruptly, allowing the consolidation of urban structures through services and infrastructure encouraged by the low cost of these areas and the avail¬ability of land. In other words, some elements of the urban structure tend to be located on the margins of the built environment, creating specialised areas ‘around’ housing fabric.
From the many studies that have been carried out, it is clear how the term ‘around’, whose meaning seems inextricably linked to the term ‘belt’, should actually be interpreted as a spatial hierarchisation rather than in its geometric meaning. To the point where there are many examples of growth across urban nuclei scattered throughout a territory, each of which forms its own fringe belt, before merging and forming new urban entities (see a number of the cases published here).
The fringe belt concept, which emerged with the interpretation of historic cities and is often usefully applied to the study of walled cities (Whitehand, 2017), also seems to contribute to the study of both the growth of industrial cities as well as the more complex expansion of modern-day metropolises.
In fringe belt foundation studies, particularly in the English-speak¬ing world, the benchmark example is the British metropolis, particu¬larly London. If, however, we consider the illegal urban sprawl typical of Mediterranean metropolises, consisting of detached houses on the edges of rapidly expanding housing areas, or the ‘informal’ expansion of South American and Asian cities, it becomes clear how, in many ways and with the proper caveats, the behavioural model features sig¬nificant analogies.
Saverio Muratori clearly noticed, during the same period as Conzen’s research, the condition of crisis that saw post-war cities expanding chaotically and attempted to include them in efforts to trace the myr¬iad urban phenomena back to a common interpretation, to a rational whole that could be taught and passed on (Muratori, 1963).
In the wake of his teachings, Gianfranco Caniggia provided us with a theoretical model of the forms of urban expansion that was very different to that of Conzen but that could be traced back to the same concepts when it comes to some of his general principles. What are, deep down, the infrastructures that are located on the margins of cities in the Conzenian model, that occupy the empty spaces consisting of cheap land if not the Caniggian model’s ‘anti-polar’ construction? And yet, Caniggia seems to refer, above all, to pre-industrial, organic cities that grow according to a modular law, through successive doublings, where each module is part of a larger urban organism and contributes to its life whilst nevertheless maintaining its original characteristics as a distinct and recognisable sub-organism. If we insist on a comparison, ‘mixed land use’ areas can be equated to the peripheral arrangements of partially specialised sub-organisms, in direct contact with rural ar-eas, that form during static phases of city construction.
Both these interpretations, which complement each other in the interpretation of fundamental aspects of the expansion of European cities, are products of the cultural areas where they formed. However, both have been recently adapted – more or less explicitly – to the study of other urban areas, such as those of North America or China, which feature very different characters.
In the early 1960s in North America, specific areas of growth were identified in the expansion on the edges between cities and countryside areas. Gerrit Wissink attempted to classify their typical features with specific characteristics in areas adjacent to the city ‘suburbs’, and more isolated ‘satellite’ areas in the territory, also considering their variations: ‘pseudo-suburbs’ and ‘pseudo-satellite’ areas (Wissink, 1962).
The study method that had to be employed when interpreting North American urban areas had to take into account particular condi¬tions. The differing mechanism of land value almost always hinders the formation of a fringe belt that can be spatially recognised as a single unified whole. There, a strip of available cheap land where anti-polar infrastructure can be set up rarely forms. The increase in land value, determined by the advantages that a particular location offers, begins decades before such land is actually exploited for construction, hin¬dering that clear difference between rural and urban land values that

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 1 – San Martin das Flores in the state of Jalisco, Mexico. Sixteenth-century Spanish settlement turned into slums by the uncontrolled growth of Guadalajara.

encourages the formation of distinct strips of anti-polar construction. Moreover, one should take into account the fact that the greater or lesser marginality of areas of potential city expansion does not depend on their distance from the centre, but rather on complex factors, in¬cluding their accessibility, which has relevant influence, due to the very nature of American cities.
This situation leads to an early division of properties and a change in the size of building lots, smaller near areas of expansion but with a significantly higher value. The development of fringe belts here is therefore less continuous and often opposite to development in radial strips, sometimes following a linear, though discontinuous, form of expansion along transport arteries and, at other times, a growth of ‘clusters’ scattered throughout the territory, depending on a method intrinsic to the market-driven rationale of intense speculative activity and few town planning regulations.
The distance from one’s workplace, often located in the CBD or at its edges, combined with the extensive use of private transport and the formation of associated large-scale infrastructure, contributes to the complexity of this multi-faceted model of growth that is so hard to generalise. Thus the concept of the rural-urban fringe (R-U fringe) emerg¬es, understood to mean the transitional zone that, in Western cities, indicates a discontinuous territory and a contradictory landscape on the border between city and countryside, made up of extensive areas featuring specific, recognisable characters. One character that is usu¬ally identified with R-U fringe is due to the particular condition of its inhabitants, who live there despite not being part of the place either economically or socially (Herington, 1984). It is, moreover, a structural phenomenon linked to the inexorable growth of the urban population, which has for some time now overtaken the rural population (over 54% in 2017), with a percentage growth that seems relentless. This explains the renewed interest in the concepts of ‘fringe belt’ and ‘R-U fringe’, which still seem suited to interpreting the new, uncontrolled phenomena (that are, nevertheless, dynamic and innovative) of the market-led expansion of cities, where new anti-polar structures are often placed beyond the immediate administrative limits not only of large cities but also of small towns, in peri-urban areas that are hardly regulated, occupied by a combination of detached single-family houses and large entertainment complexes, commuter districts and noisy small businesses that cities push to their margins, areas used by undertak¬ers and warehouses of all kinds, shopping malls and venues for large events, concerts and festivals along the edge of farmland. The fact that concepts that have now become traditional, such as those of the fringe belt and R-U fringe have, for some time now, been placed at the centre of design project instruments for areas in urban expansion, succinctly tackling spatial as well as political and social problems, is proof of the attempt to establish the latest town planning frontier, limiting the fragmented city (Gallent, 2006).
However, we cannot deny that the idea of limits, which once con¬stituted one of the pillars of urban studies from the post-war period on, is now definitively in crisis, together with that of a perimeter, which was not only used as a planning tool but also as a mindset, allowing us to establish distinctions and borders.
Nevertheless, I believe that architects and town planners are not al¬lowed to accept reality as it is (contrary to the aesthetically pretentious movement that has recognised in the disintegration of every order the representation per se of the modern world). Often disorder, if ob¬served methodically, contains its own explanation, multifarious aspects of manmade principles that can be recognised and analysed rationally.
In any case, the model used to interpret and critically explain the phenomena of urban expansion is not just a scientific tool: it is also knowledge in action, it contains a design project. I believe we need to ‘designedly’ seek out the form of cities that expand, even in their seem¬ingly chaotic, formless parts (Strappa, 2012).
This book compares and contrasts a number of essays on urban expansion that examine case studies located in various different geo¬graphic areas: from Europe to Asia, from North to South America.


Fig. 4 – Spontaneous ridge routes in the expansion of Mexico City.

It is not, however, just a comparison of urban samples. What interests the editor is to compare interpretational models derived from experi¬ence that come under the umbrella of Urban Morphology, developed in different cultural contexts that nevertheless share the conviction that the form of a city, even in its most seemingly chaotic incarnations, can be interpreted rationally and contains the seeds of future change.

References
Caniggia, G., Maffei, G.L. (1979) ‘Composizione architettonica e tipo¬logia edilizia 1.Lettura dell’edilizia di base’ (Marsilio, Venezia).
Conzen, M.R.G. (1960) ‘Alnwick, Northumberland: a Study in Town- Plan Analysis’ (Institute of British Geographers, London).
Gallent, N., Andersson, J., Bianconi, M. (2006) ‘Planning on the Edge’ (Routledge, London).
Herington, J. (1984) ‘The Outer City’ (HarperCollins, New York).
Lammers, D., Pereira Roders, A., Van Wesemael, P. (2016) ‘Radial fringe belt formation’, Proceedings of the 22nd ISUF Conference, Rome 2015 (U+D, Rome).
Muratori, S. (1963) ‘Architettura e civiltà in crisi’ (Centro Studi di Storia Urbanistica, Roma).
Strappa, G., ed., (2012) ‘Studi sulla periferia est di Roma’ (FrancoAnge¬li, Milano).