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LE CITTÀ DI SOLERI

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di Giuseppe Strappa

in «Corriere della Sera» del 27.10.2005

Avevamo dimenticato Paolo Soleri, sepolto nella memoria insieme alle rovine delle utopie, agli anni ’60 dei Bob Dylan e Joan Baez, all’amore universale e ai figli dei fiori. Nell’età del liberismo globale e delle metropoli che si frantumano, dove i grattacieli competono tra loro come mostri meccanici e le architetture sono spot pubblicitari, il messaggio messianico dell’architetto torinese sembra provenire da un mondo remoto, perduto. Eppure Soleri continua a costruire nel deserto dell’Arizona, ancora oggi, a 87 anni, con incrollabile ottimismo, la sua Arcosanti, città ideale a misura d’uomo in simbiosi con le risorse della natura.
Nelle condizioni estreme imposte dall’ambiente, si ostina a voler rifondare la corrispondenza armoniosa tra l’uomo e l’universo interrotta dalle leggi del profitto e da un uso dissennato della tecnica. Una cosmogonia alla quale l’architettura è chiamata a dare forma visibile, espressione simbolica. Come un sacerdote-architetto d’epoche remotissime, Soleri insegna la religione della leanness, dell’uso frugale delle limitate risorse della terra, ad una piccola schiera di devoti volontari che partecipa all’epopea delle sue costruzioni, embrione di un mondo nuovo le cui forme evocano, insieme, solenni riti arcaici e i fumetti di Flash Gordon.
Ci voleva un grande sforzo comune della DARC, dell’Istituto Nazionale per la Grafica, della Casa dell’Architettura e l’ostinazione della curatrice Sandra Suatoni per proporre, con tre mostre coordinate, tutta l’attualità di questo architetto inattuale che ricorda, con la forza del suo messaggio ingenuo e accorato, l’etica perduta della modernità e la crisi della condizione contemporanea.

Un’opera, quella di Soleri, cominciata nel ’55 quando, dopo una breve collaborazione con lo studio di Wright, fonda, nel deserto a nord di Phoenix, Cosanti, centro di produzione artigiana e piccolo nucleo di una possibile città parsimoniosa dove costruisce, felice, campane a vento in ceramica e bronzo, case immerse nella terra e aperte verso il cielo da cupole vetrate, progetta ponti fantastici, dighe abitate, città-fungo, ponendo problemi, come quelli dell’ecologia, che solo dopo molti anni verranno compresi.
Sperimenta l’earthcasting, la sua tecnica di costruzione che utilizza la terra come cassaforma: le volte sono gettate sul terreno nudo e sotto di loro sono scavati spazi abitati formando un piccolo mondo ipogeo dove la luce filtra in fasci sapientemente dosati e l’uomo, tornato nel grembo della madre Terra, si sente al riparo.
Artigiano visionario, affascinato dalle forme organiche prodotte dall’arte del plasmare (l’argilla e la ceramica come il calcestruzzo e il bronzo) immagina il mondo come un’enorme concrezione tettonica dove le forme naturali e quelle che l’uomo modella sembrano nascere da un unico impulso creativo. Cosanti sembra esprimere, anzi, il significato aurorale della costruzione, la materia indistinta, primordiale che diviene materiale attraverso la mano dell’uomo che sagoma, fonde, costruisce, decora.
Arcosanti, la città che comincia ad innalzare negli anni’70 nel deserto di Sonora, è la vera antitesi della metropoli americana: le attività confluiscono e si sovrappongono in pesanti absidi protettive, in grandi spazi liberi che evocano poderose opere dell’antichità destinate, come le basiliche o le terme, ad accogliere il fluire indistinto della vita.
Le tre mostre romane permettono, per la prima volta in modo completo, l’indispensabile sintesi dei molti aspetti dell’opera di Soleri. Perché le sue costruzioni hanno senso solo se si afferra il grande disegno che, comprendendole, le trascende e spiega. Come pure le sue ermetiche dottrine filosofiche acquistano valore solo dal contatto con i potenti strati di disegni sui quali sono cresciute, studi dalla straordinaria forza grafica, rappresentazioni di città gigantesche, temerarie sezioni come formicai d’iperbolica densità abitativa, perdute nel vuoto di deserti, a ridosso di oceani: Babelnoah, Stonebow, Archeam, Theology.
Le mostre, infine, hanno il merito non secondario di riportare l’attenzione su quella quasi sconosciuta Fabbrica di Ceramica Artistica Solimene (vincolata proprio in questi giorni) che Soleri costruì negli anni ’50 a Vietri sul Mare, dove grandi coni rovesciati rivestiti di ceramiche smaltate, affacciati sulla costiera amalfitana, ricordano il suo apprendistato artistico e le radici solari, plastiche e mediterranee del suo sogno americano.