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CHENG YUNING LECTURE – THE NANJING CITY WALL

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This lecture will be based on a research focusing on the Nanjing City Wall led by Prof. Cheng Yuning for more than 15 years. The lecture will be divided into 3 parts. Firstly, a brief review on the origins and development of China’s city wall, including Nanjing, will be introduced. Then, a specific spatial analysis will be carried out to compare the different development periods of the city and the surrounding space in history. The space evolution and the relationship between the city and the wall will be demonstrated and summarized. In the end, an urban project including the city wall area design, preservation guidelines and the detailed design of each wall segment will be presented for discussion.

SUPERMEN OLIMPICI E ATLETI DI MARMO


di Giuseppe Strappa
in «Corriere della Sera» del 03.09.08
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“Se vuoi viver sano e forte stai lontano dallo sporte” ironizza un proverbio viterbese.
Di fronte al grande show olimpico di questi giorni verrebbe voglia di dargli ragione: atlete bambine, supermen costruiti in vitro, macchine da record prodotte da perfette organizzazioni medico-psichico-chimiche. Infiniti salti, lanci, tiri, alzate, bracciate, tuffi eseguiti per anni in maniera ossessiva, sempre gli stessi, fino al limite dell’umano, fino ad una paranoica perfezione.
Spesso, ormai, il fisioterapista è importante quanto l’allenatore, perché seguirà l’eroe di una giornata non solo nella carriera sportiva, ma per anni ancora, curandone gli acciacchi causati da sollecitazioni estreme e innaturali.
Ma lo spettacolo planetario deve andare avanti. E mentre una frazione infinitesima della popolazione del pianeta esibisce i propri muscoli, milioni di persone, immobili davanti ai televisori di un condominio di New York o di una favela di Rio de Janeiro, contemplano le sue imprese straordinarie.
L’architettura olimpica, immediata nel significato come uno spot pubblicitario, è divenuta lo specchio di questo congegno mediatico totale con i suoi stadi-nido-di-rondine e le sue sue piscine-acquario. Immagini che vanno divorate rapidamente come un piatto di patatine col ketchup; forme che si devono imprimere sulla retina di colpo, mentre si mangia un hamburger.
Se questo è il futuro inevitabile della grande architettura sportiva, bisognerebbe che qualcuno cominciasse a dire “no grazie”.
Noi, a Roma, potremmo iniziare impedendo la trasformazione in una culla dello sport spettacolo del Foro italico, un patrimonio architettonico che esprime valori opposti a quelli delle architetture pechinesi e che, un intervento dopo l’altro (ultimo l’annunciato stadio del tennis) stiamo perdendo.
Lo spirito originale con cui è stata disegnata la nostra cittadella dello sport è quello dell’invenzione di un paesaggio esemplare dove edifici sereni si adagiano con sapienza sul terreno. Difficilmente s’immaginano, qui, adolescenze solitarie rovinate da una smodata ansia di successo. Piuttosto ragazzi per i quali lo sport è una parte bella della vita e perfino qualche signore sudato che si tiene in forma sotto lo sguardo accigliato di atleti di marmo.
Dobbiamo salvare il Foro italico anche per questo: per la testimonianza che rappresenta di un modo inattuale, quanto umano e civile di concepire lo sport.