Chiesa dell’Immacolata di Fatima
1938/42
architetto Concezio Petrucci
di Giuseppe Strappa
in “Corriere della Sera” del 10. 8. 2013
Gli architetti tedeschi della Germania appena distrutta dalla guerra costruirono chiese straordinarie, povere e semplicissime, tirate su con pochi mezzi, spesso reimpiegando le macerie e i materiali delle città devastate dai bombardamenti. Il dolore delle distruzioni, la cognizione delle colpe che emergevano, laceranti, dalla cortina di retorica del regime, insieme alla mancanza di mezzi, fecero riscoprire ed esprimere la consolazione della fede, quella semplice e diretta delle origini del Cristianesimo. Sorsero chiese «d’emergenza», spoglie e intense, come quelle costruite da Otto Bartring, disadorne e struggenti come la chiesa in calcestruzzo a vista che Egon Eiermann costruì a Pforzheim.
Anche in condizioni meno tragiche lo spirito di povertà ha dato origine a spazi sacri sorprendenti, come la nuda cappella del monastero di Sint Benedictusberg costruita dal monaco architetto Hans van der Laan, modernissimo inno alla fede fatto quasi di nulla, solo del semplice, armonico ritmo di pilastri in muratura.
La storia mostra come anche la mancanza di risorse, e non solo l’opulenza barocca o la ricchezza del Rinascimento, abbia prodotto grandi chiese.
Certo, il mondo contemporaneo, quello della comunicazione aggressiva e ridondante, ha le sue esigenze. Ma in questo mondo complesso e incerto la Chiesa non dovrebbe indicare una strada? Distinguere tra la forma del messaggio cristiano e quella della pubblicità?
Ci si chiede, allora, come mai nessuna delle nuove chiese costruite nelle periferie romane al tempo della crisi, con bilanci limitatissimi, abbia scelto la strada, pure architettonicamente nobilissima, del gesto elementare e immediato che indica l’essenza delle cose e le esprime con parsimonia di mezzi. I nuovi edifici per il culto sembrano invece, con rare eccezioni, l’esito un po’ goffo di una sorta di «vorrei ma non posso» architettonico. Come se una chiesa costruita con poche risorse debba essere uguale a una ricca, ma di qualità ridotta.
Il loro modello ideale sembra la chiesa, elegante quanto antieconomica, costruita a Tor Tre Teste per l’Anno Santo. Economia, in architettura, non significa solo risparmio: è proporzione, necessità, espressione della collaborazione tra le parti alla vita dell’edificio. Con le sue vele autonome e indipendenti, l’opera di Meier sembra contraddire quella solidarietà e collaborazione tra le parti che è anche, ma non solo, riduzione di costi: è uno spreco nella forma, prima che nei bilanci.
Da allora, nonostante gli investimenti fossero stati ridotti al minimo, abbiamo assistito a una parata di mezze sfere, pizzi, giochi di volumi inutilmente estetizzanti, spesso indigesti, col sostegno di una critica del volemosebbene che sa poco di amore cristiano e molto di consociativismo.
Possibile che non ci sia modo di costruire, da noi, spazi sacri autenticamente contemporanei, cioè immersi nel proprio tempo, nelle condizioni di crisi e di necessità che chiederebbe una saggia, religiosa, innovativa proporzione tra mezzi e fini?
Ho idea che alla prossima chiesa del famolo strano qualcuno perderà la pazienza. Forse proprio papa Francesco.
Facoltà di Architettura – sede di Valle Giulia
Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura e della Città Sac
Laboratorio di Progettazione 3A A. A. 2010/2011
http://laboratoriopasquali.wordpress.com
Lezione del prof. Marco Petreschi
LA CHIESA DI S. TOMMASO A ROMA
Introduce il prof. Giuseppe Pasquali
Mercoledì 24 novembre 2010
ore 15,30 via A. Gramsci 53
Aula 18
CHIESE DI ROMA
1945-2010
Laboratorio di Progettazione 3A – A.A. 2010/2011
Lezione del prof. Giorgio Muratore
Introduce il prof. Giuseppe Pasquali
Lunedi 15 novembre 2010
ore 9,30 via A. Gramsci 53 – Aula 18
Facoltà di Architettura – sede di Valle Giulia
Sac Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura e della Città
La presentazione
L’architettura religiosa in un libro di Strappa
in “Corriere della Sera” del 26.05.2009
Il tema dell’architettura religiosa è tornato di grande attualità. Anche a Roma si costruiscono nuove chiese, veri poli urbani in quartieri spesso degradati che pongono, anche, il problema di cosa significhi un edificio per il culto nel mondo contemporaneo. Giuseppe Strappa, architetto e ordinario di progettazione, tenta di dare una risposta con un libro, «Edilizia per il culto» (Utet, Torino) che ha la forma e l’ambizione di un vero trattato. Tesi di fondo è che ogni chiesa, sinagoga o moschea costituisce anche un «organismo » del quale occorre comprendere, soprattutto, il processo formativo. In un periodo in cui l’architetto, anche nei temi religiosi, è ossessiona¬to dalle mode, Strappa sostiene che si è originali solo riscoprendo l’origine delle cose, le radici dalle quali le forme hanno inizio. L’opera verrà presentata oggi a Valle Giulia da un esperto del tema come Paolo Portoghesi. Il grande storico e architetto romano non è, infatti, solo autore di importanti architetture religiose, dalla Chiesa della Sacra Famiglia a Salerno alla Moschea di Roma, ma si è posto, tra i primi, il problema della crisi del progetto contemporaneo, dello smarrimento dell’uomo di fronte a un mondo costruito che non sa più leggere e, quindi, trasformare con coerenza.
Alle 18, Aula Magna della Facoltà di Architettura «Valle Giulia», via Gram¬sci 53
Il libro viene presentato oggi pomeriggio alle 16 a Valle Giulia da un esperto del tema come Paolo Portoghesi, in primo piano nella foto qui sopra insieme a Giuseppe Strappa