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LA CHIESA DI MEIER A TOR TRE TESTE

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di Giuseppe Strappa
in «Corriere della Sera» del 26.10.2003

La costruzione della nuova chiesa Dives in Misericordia a Tor Tre Teste dimostra come il magma urbano delle periferie costituisca il vero laboratorio delle sperimentazioni contemporanee: lontano dalle polemiche che hanno travagliato il progetto per l’Ara Pacis, Richard Meier ha espresso al meglio quella maniera di complessa ed elegante astrazione che gli ha assicurato il successo internazionale.
Ma sul nuovo edificio, oltre che per il fascino dei suoi spazi spettacolari, occorre anche riflettere per il significato che riveste nella storia di questa città.
La chiesa di Meier, in realtà, spezza di colpo quei vincoli di organicità che avevano costituito l’essenza della tradizione romana: come in uno straordinario kit di elementi scultorei disassemblati, ogni parte è autonoma, pone propri, complessi problemi risolti, peraltro, con spettacolare virtuosismo.
Oggetto prezioso e ubiquo, ultima, abbagliante scheggia che irrompe tra i frammenti edilizi dispersi tra la Prenestina e la Casilina, la scintillante opera di Meier evita con cura quegli elementi di mediazione (quadriportico, nartece, sagrato, piazza, atrio, porticato) che nel passato raccordavano lo spazio sacro con la vita civile che scorreva intorno.
La nuova chiesa indica quindi l’abbandono dei principi attraverso i quali era possibile riconoscere, in edifici religiosi diversissimi tra loro, anche recenti, il sostrato potente di matrici condivise, comprendere l’annodarsi di nuovi spazi, riconoscere la scintilla dell’innovazione. Una lingua comune che imponeva anche quei vincoli “economici” che l’opera di Meier non riconosce. Vincoli intesi non come mero risparmio, ma come giusta proporzione, etica congruenza, condivisa perfino dallo straripante linguaggio delle chiese barocche, tra fini e risorse impiegate.
Questa tradizione, bisogna dire, si era dal dopoguerra ad oggi tanto isterilita da richiedere un grande sforzo di rinnovamento nel quale la Chiesa ha avuto il merito di coinvolgere le forze vive della città, le università, l’intera cultura architettonica.
Ma forse la comprensibile ansia di sperimentazione ha pagato i suoi rischi. In gara con le altre grandi istituzioni contemporanee (i musei, le gallerie d’arte, i municipi), l’architettura della chiesa non sembra proporre nuove strade ma inseguire, piuttosto, tendenze in atto legate all’universo senza memoria della pubblicità, della moda, delle immagini in competizione alle quali si richiede solo di imprimersi con forza sulla retina. Per questo la chiesa di Meier non può essere considerata un punto d’arrivo, ma un sasso lanciato nello stagno, l’inizio di una ricerca paziente che non ammette scorciatoie.