Tag Archives: Giuseppe Strappa

Leggere la periferia con occhi nuovi

LEGGERE LA PERIFERIA CON OCCHI NUOVI
Giuseppe Strappa

Il problema dello studio della nostra periferia, di una città moderna che si è sviluppata in modo contraddittorio nel territorio di confine tra tessuti consolidati e campagna, è quello di leggere un’edilizia nuova sulla quale, al confronto con la bellezza e l’autorità riconosciuta al centro antico, si è consolidato un giudizio sbrigativo di città instabile e vaga, non legittimata dalla storia: senza struttura.
Le tante letture che si sono succedute, dal neorealismo in poi, nella letteratura, nel cinema, nell’architettura, non hanno fatto che rafforzare l’immagine di un indefinito mondo di confine, a volte estremo, trasformando la realtà di quartieri, insediamenti abusivi, intensivi abitativi pubblici o di speculazione, in luoghi della mente tanto verosimili e consolidati da essere accettati come verità: dalla disperazione delle case popolari di Val Melaina in Ladri di biciclette, alla speranza delusa delle abitazioni del Quadraro di Mamma Roma, ai fondali urbani dei drammi di Rossellini, De Sica, Antonioni, Monicelli, Zampa, Pasolini. L’ultimo brandello di ordine cui aggrapparsi prima del naufragio nei casermoni disordinati, sembrava costituito, curiosamente, dalla rigidità del Quartiere Don Bosco, nella versione metafisica che ne ha dato di Fellini o in quella ironica e malinconica di Dino Risi. Oltre questa soglia, astratta e simbolica, si stendeva un territorio di conflitto senza monumenti e senza memoria, che si alimentava di infiniti segni e permetteva infiniti codici.
Una città strabica, peraltro, che ha sperimentato il mito populista della crescita per quartieri indipendenti proprio nel momento di transizione della città da capitale di stampo ancora ottocentesco verso un incerto futuro di metropoli. Che ha continuato a proporre, con i “comparti” del piano del ’62, una crescita per brani isolati in un verde fragile, virtuale, trasformato presto nei prati desolati cui è legata l’immagine letteraria della periferia romana, e saturato poi, a ondate dalle successive, da caotiche espansioni di frettolosa edilizia privata, epilogo inevitabile e provvisorio di un naufragio amministrativo ancora in corso.
Non è stato deliberatamente riconosciuto alla periferia romana quel valore culturale che pure doveva essere evidente, né individuato alcun processo formativo che ne spiegasse ragioni e vocazioni. Eppure la forma del suolo strutturata da lievi crinali già in parte abitati, separati da compluvi dove scorrevano le marrane, ha costituito il riferimento alla struttura di percorsi e perfino alla costruzione dei primi tessuti di speculazione o abusivi degli anni ’50, in un inconscio rispetto di un territorio storico ancora operante. Per questo la sua struttura è stata volutamente ignorata: perché una città senza forma sembrava aprirsi a qualsiasi possibilità e, dunque, a qualsiasi forma, anche alla più apparentemente improvvisata. La colpa è stata attribuita soprattutto alla brutalità degli interventi privati, ai “palazzinari” senza scrupolo. Anche se, credo, qualche responsabilità, seppure marginale, abbiano avuto alcuni interventi “informali” di illustri architetti che, nelle espansioni originate dalla legge 167 del ’62, hanno indicato la strada di un ordine astratto e individualistico di parti isolate di città a fronte di un disordine generale del territorio. Esattamente il contrario di quello che sarebbe servito.
D’altra parte il fallimento del progetto per il Sistema Direzionale Orientale, che avrebbe dovuto organizzare, con i quaranta milioni di metri cubi previsti, l’intera struttura urbana di un’area immensa comprendente Pietralata, il Tiburtino, il Casilino e Centocelle, è stata l’espressione plastica dell’impotenza della politica di fronte ai problemi reali.
La periferia romana sembrava condannata a incarnare l’essenza pittoresca della modernità urbana. Una modernità che ha avuto i suoi cantori, che interpretavano la frammentazione e il disordine urbano come germe di figure in continua rigenerazione. Col risultato concreto di legittimare, in qualche modo, la disinvoltura con la quale ancora oggi si procede per parti o, meglio, per spartizioni, attraverso insediamenti autonomi e tuttavia, non autosufficienti, incapaci di comporsi a formare una vera metropoli. Schegge che si vanno ormai saldando o meglio giustapponendo senza che nessuna struttura razionale, tra polarità immaginarie e centralità rimaste sulla carta, le possa realmente integrare. Le proposte di questi giorni per il nuovo stadio di calcio, contro la stessa cultura contemporanea delle città europee, prevedono strutture autonome d’iniziativa privata: migliaia di metri cubi di nuove abitazioni isolate intorno a un centro vuoto, una struttura separata e monofunzionale. E’ la vittoria del contingente e del casuale, della trattativa tra politica e promoter.
Un dato è evidente dalla constatazione del fallimento del piano del ’90: il “generoso” dimensionamento dell’edilizia privata ha portato a due esiti ugualmente disastrosi.
Da una parte la dilatazione delle quantità realizzabili ha indotto a un notevole abbassamento, oltre che della dotazione di servizi, anche privati, della qualità edilizia dei nuovi quartieri, costruiti con un cinismo sconosciuto perfino agli interventi speculativi dei decenni del dopoguerra; dall’altra il numero elevatissimo delle unità immobiliari immesse sul mercato ha comportato il netto prevalere dell’offerta sulla domanda senza peraltro produrre, com’è avvenuto in altre parti del mondo, una significativa riduzione dei prezzi di vendita. Si ripropone, in altre parole, quel vistoso e devastante fenomeno di rendita di posizione contro cui per decenni si è scagliata la parte più impegnata della cultura architettonica romana ma che ora sembra accettato come inevitabile portato dei tempi. Basta osservare le recenti espansioni di edilizia privata, ormai unica forma di costruzione abitativa, che hanno invaso le aree libere lungo le consolari, per rendersi conto di come i tipi edilizi impiegati siano sostanzialmente gli stessi di quelli degli anni ’80, ma dilatati in altezza e profondità, “gonfiati” dalla labilità delle regole e dalla mancanza di una qualsiasi idea di città. Ritornano perfino gli stessi dettagli, gli stessi balconi, le stesse facciate dove le aperture si affollano banalmente secondo un elenco ignaro di ogni regola, interrotte a volte, senza pudore, da qualche patetico tentativo di “ravvivare” la composizione con improbabili partiti diagonali.
Questo quadro desolante dà conto di una condizione, ma esprime anche, credo, l’urgenza del cambiamento. Istanza particolarmente avvertita da un gruppo di docenti e dottorandi del nostro dottorato Draco in Architettura e Costruzione i quali hanno studiato la possibilità di riconoscere aspetti progressivi in alcuni quartieri della periferia romana costruiti con finanziamenti privati. Quartieri, cioè, realizzati da una categoria imprenditoriale storicamente considerata tra le più arretrate e voraci della Capitale, che ha invece messo in campo, nei casi di studio esaminati, insospettate capacità di scelta e anche, in alcuni casi, di vera ricerca. E’ un dato tanto più rilevante perché riconosciuto in un momento della crescita urbana nel quale la mano pubblica sembra del tutto latitante, avendo da tempo rinunciato a fornire qualsiasi contributo alla qualità della produzione edilizia. E, d’altra parte, assegnando un compito di mediazione alle procedure di progettazione, la politica non ha mai dato troppo peso al ruolo propositivo e innovatore che l’architettura potrebbe svolgere nel ricomporre i pezzi dispersi delle periferie.
I testi che seguono spiegano ampiamente le ragioni scientifiche di questa nuova attenzione per la “città privata” che ha coinvolto criticamente anche la disciplina dell’estimo, spesso confinata, in ricerche come questa, in un ambito di competenze isolato dai problemi dell’architettura della città.
Vorrei però rilevare l’ottimismo con il quale questi docenti e giovani ricercatori hanno guardato a un passato recente nel quale sembrava difficile leggere segnali positivi. Leggendo da progettisti e oltre i luoghi comuni, com’è giusto che sia, anche nel desolato banale quotidiano i segni di un possibile cambiamento.

 

Phd in Architecture and Construction – Sapienza University – Rome – 2017/18 Admission tests

Phd in Architecture and Construction (DRACO) – Director Prof. Giuseppe Strappa

Sapienza University, Rome – 2017/18

The PhD program in Architecture and Construction, aims at educating researchers who will be able to inquire into the entire disciplinary and phenomenological breadth leading architectural design and theorization to be embodies in built space, binding the ars aedificandi with the emerging needs of society.
These researchers will need to be able to reconstruct the links between design and building, recovering and reformulating the theorical-operational paradigms which have today lost much of their strength, bound to the invention of figuration, typology and urban morphology. The recovery of this fundamental knowledge will be carried out within a problematic field of highly innovative character, where the issues of the environmental crisis, the role of media, the recent urban transformations for the spectacularizationof the city, and the new technological resources all play a fundamental role.
During the last two decades, urban and architectural design have on one side grown closer to the historical-critical areas, on the other to urban planning, with further outreaches towards anthropology and sociology. The central problematic area it once occupied was therefore abandoned. In seeking new and broader openings towards bordering disciplinary areas, and in the attempt at creating multiple connections with other aspects of architecture, the practice of urban and architectural design has broadened its horizon, thus losing its specific density, which considerably suffered from this process. A number of problems of great relevance today remain unsolved, such as the question on how architectural composition, with its intrinsic statute regarding the figuration, building typology and urban morphology, are translated, through specific processes, into buildings.
The PhD program is articulated in such a way as to focus the students’ experiences on the theoretical-practical aspects of research. The ignition of individual critical awareness is considered the primary value, together with the continuing critical confrontation with the faculty’s inputs, and with the state of knowledge as it emerges from recent publications and contributions.
The entire range of issues included in the research program mirrors the research interests of the individual faculty members. It was deemed necessary to build the study and activity program on the basis of a single curriculum, with the intention of underscoring the natural disciplinary and operational extension of the scientific sector of urban and architectural design. The proposed curriculum thus responds to the double necessity of fundamental research and applied research, similar to what takes place in architecture, which given its double nature of practice and science requires skills extending to the entire cycle leading
from the theoretical formulation to the dialectic confrontation with reality. In this sense the curriculum covers the field with modalities and intents which are otherwise not available in our University’s educational offer, aiming at the education of experts and cultural operators which are widely requested both in the field of research and of public administration. The interaction between architectural theory, realization techniques, and social studies are aimed at interpreting the mutations occurring in the
contemporary cities, is likely to attract external subjects.
The curriculum’s organization is structured in order to offer students:
The participation in group research activities organized by the program’s faculty, aiming providing them an experience of teamwork in this field. Where possible, these activities are to be coordinated with research taking place withing the Department of Architecture and Design, in order to enhance a possible synergy between the students’ and the instructors’ goals The participation in one or more thematic lecture cycles held by faculty members of external guests, aimed at providing students with a plurality of different views on the methodology of research. These lectures, to be held on a weekly basis, are a constituent part of the students’ first-year coursework.
The participation in a reading seminar, dedicated to the study of some key texts indicated on the basis of each student’s research orientation. This activity is aimed at guiding students, during their first year, in a gradual approach to their individual research themes, allowing them to start the research work at the beginning of the second year. The seminar, which is concluded with a lecture and a paper by each student, is also useful to fine-tune scientific writing skills.
The first year fill therefore be balanced between group work and individual work. This initial training, which is coordinated by the PhD Board as a whole, is concluded by the indication of a thesis supervisor for each candidate, and the beginning of individual research work on the thesis. The supervisor’s role consists in supporting the candidates’ individual research throughout the thesis’s development, up until the dissertation’s defense.
The second and third year of activity is therefore dedicated to individual research, along the guidelines indicated by each supervisor. During each year candidates are asked to present the advancement of their research work to the PhD Board on three distinct occasions, tentatively in the months of February, June and October. Furthermore students can be involved, individually or in groups, in other research-oriented activities, such as seminars, design workshops or other activities taking
place within the Department of Architecture and Design.
All PhD candidates are invited to actively take part in the Department’s cultural activities, participating in conferences, congresses, exhibitions and other events. Furthermore, their participation in national and international scientific initiatives is warmly encouraged. Finally, students are encouraged in the production of scientific papers to support the construction of an adequate scientific curriculum.
Website : https://web.uniroma1.it/dottoratodraco/

PROVE DI AMMISSIONE (Admission tests)
Dottorato in architettura e costruzione 33ciclo

data esame scritto 8 settembre 2017, ore 9.00 aula 4, via Gramsci 53
data esame orale 18 settembre 2017
descrizione: I candidati dovranno svolgere una prova scritta elaborando una riflessione sui temi proposti dalla commissione. Particolare attenzione sarà richiesta per gli argomenti che riguardano la scienza e la pratica del costruire nel confronto dialettico con la realtà costruita. I candidati potranno corredare il testo con elaborati grafici.
I risultati saranno affissi presso la sede del dottorato a via Gramsci 53 dal 12.09.2017
e pubblicati sul sito del dipartimento
prova orale: ore 9.00 aula 6 via Gramsci 53
descrizione: I candidati dovranno sostenere un colloquio di approfondimento delle tematiche affrontate nella prova scritta, sul proprio curriculum e su una proposta di ricerca
I risultati saranno affissi presso la sede del dottorato a via Gramsci 53 dal 20.09.2017 e pubblicati sul sito del dipartimento
Segreteria: Rossella Laliscia
email:     gstrappa@yahoo.it
rossella.laliscia@uniroma1.it

ARCHITETTURA A FIUMICINO

di Giuseppe Strappa

in «Corriere della Sera» del  16.09.2002

Sta per essere completato il nuovo municipio di Fiumicino nel nodo urbano tra la stazione ferroviaria e la via Ostiense destinato a divenire il centro pulsante del nuovo Comune.
Come ogni architettura che svolga fino in fondo il proprio ruolo civile, quest’opera dovrebbe essere considerata, ritengo, con attenzione perché pone domande e indica soluzioni generalizzabili. Nel disastro urbano di un luogo tanto simile a molte periferie romane, dove i frammenti sparsi (il ponte, i magazzini, i supermercati) si mostrano refrattari a qualsiasi sintesi, il nuovo municipio, le cui linee spezzate sembrano partecipare alla generale anarchia, possiede in realtà un carattere inaugurale, fonda un nuovo equilibrio basato sulla forza accentrante del disegno della piazza.
Il “foro” di Fiumicino sembra prendere per i capelli il disordine dell’intorno, costringendo una moltitudine di lacerazioni edilizie a riconoscersi in una nuova centralità, favorito in questo dall’impiego ossessivo di uno stesso materiale: i mattoni, posti di piatto ad indicare la propria funzione di semplice rivestimento, formano un’unica superficie continua che si piega a sagomare il piano inclinato della piazza, copre la sala consiliare, riveste le facciate che lasciano intravedere i lucidi uffici in alluminio e vetro, fino a modellare le coperture.
La costruzione, eliminata la torre del progetto originale che creava problemi al traffico del vicino aeroporto, ha guadagnato le proporzioni di uno spazio dilatato, dove le facciate che fanno da fondale scenografico al piano inclinato della piazza, inclinate esse stesse, forniscono, quasi attraverso una falsa prospettiva, l’illusione di dimensioni monumentali, di una dura macchina barocca arenata alle foci del Tevere il cui pathos fa perdonare i tanti francesismi del vocabolario impiegato.
Uno spazio tanto romano, anzi, da non sembrare inventato dalla fantasia dell’architetto, ma come “preformato” nella memoria della città, nell’attesa di riemergere con i mezzi dell’architettura contemporanea.
L’autore, Alessandro Anselmi, sembra riflettere, in quest’impresa della maturità, sulle sue esperienze francesi (il municipio di Rezé, il terminal della metropolitana di Rouen) facendo ricomparire, dietro la filigrana del linguaggio internazionale, il sostrato profondo di un dialogo con la storia iniziato negli anni ’60. Per questo, forse, il nuovo municipio sembra prendere le distanze tanto dalle trovate spettacolari oggi di moda, quanto dalle imitazioni di un passato alla Disneyland che, da queste parti, trovano interpretazioni particolarmente disinvolte, come la folla di falsi capitelli e imitazioni di mosaici antichi del nuovo “Porto romano”.
Forse la cascata di gradini del municipio, che sotto lo sguardo dell’Enea scolpito da Attardi si restringe progressivamente fino a fondersi in una parete verticale, susciterà qualche accigliata considerazione sulla follia degli architetti, ma nel tempo diverrà il segno mediatico di un’opera alla quale si chiede il non facile ruolo di simbolo e polo civile del nuovo Comune.