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PROGRAMMA FUNZIONALE

Università “Sapienza” di Roma – Corso di Laurea in Architettura (Restauro)
LABORATORIO DI PROGETTAZIONE II CdL A(R)
Anno accademico 2014/15
Corso A, prof. Giuseppe Strappa,
collaboratori : prof. Paolo Carlotti, archh. Annarita Amato, Antonio Camporeale, Giusi Ciotoli, Marco Falsetti, Giancarlo Salamone, Illy Taci, Cristina Tartaglia.

PROGRAMMA FUNZIONALE PER IL PROGETTO
DI UN NUOVO PALAZZO PER UFFICI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
aggiornato sulla base del bando di concorso per i nuovi uffici della camera dei deputati del 1968

INDICAZIONI GENERALI:
Nella redazione del progetto si dovrà:
a) tener conto che il nuovo edificio è destinato ad integrare il complesso degli edifici attualmente a disposizione della Camera dei deputati e che esso dovrà collegarsi con il Palazzo di Montecitorio mediante passaggi sotterranei e un cavalcavia. II cavalcavia dovrà essere previsto in corrispondenza dell’ingresso del n. 8 di via della Missione, in asse con il Salone dei «passi perduti» e prevedere modifiche congruenti dell’attuale “Palazzo Basile”;
b) studiare in particolare l’inserimento del nuovo edificio tessuto circostante attraverso una lettura “processuale” dell’esistente, valutando criticamente la gerarchizzazione di percorsi e spazi esterni. L’altezza dell’edificio dovrà adeguarsi alle quote degli edifici della piazza;

AMBITI E DIFFERENTI UTENZE:
Nella redazione del progetto si dovrà tenere presente che gli uffici ed i servizi saranno utilizzati dai parlamentari, dal personale, dagli estranei secondo le seguenti indicazioni:
• uffici e servizi utilizzati dai parlamentari , dal personale e dagli estranei:
1) biblioteca e relativi uffici;
2) uffici destinati ai Servizi Studi, legislazione e inchieste parlamentari, e Documentazioni e statistiche parlamentari;
3) sale di ricevimento per il pubblico.
4) ristorante
• uffici e servizi utilizzati dai parlamentari e dal personale:
1) archivio centrale (locali per macchinari ed uffici) ;
2) centro elettronico di elaborazione dati;
4) spazi di lavoro singoli per 540 deputati;
5) sale riunione complementari a quella della Camera (anche per riunioni di gruppi parlamentari)
6) servizi vari: ambulatorio medico, banca, impianti igienico-sanitari
Si dovrà prevedere anticamere per commessi, spogliatoi e servizi nonché locali accessori ed attrezzature (ingressi, atrii, scale, disimpegni, ascensori e montacarichi) per gli uffici ed i servizi, tenendo conto che quelli destinati ai parlamentari ed al personale dipendente dovranno essere separati, anche per ragioni di sicurezza, da quelli destinati agli estranei.

FUNZIONI E QUANTITÀ:
Le indicazioni ed i dati necessari all’impostazione del progetto sono i seguenti:
Biblioteca:
per la biblioteca, accessibile ai parlamentari ed ai dipendenti della Camera nonché ad estranei autorizzati, dovranno essere previsti i seguenti ambienti:
a) magazzino con ricettività di 300.000 volumi;
b) sala cataloghi elettronici mq. 50 con servizio di distribuzione dei volumi comune alle tre categorie di utenti suindicate e sale di lettura separate, con una capacita ricettiva globale di circa 50 posti, tenendo presente che il numero degli estranei sarà limitato. II servizio di distribuzione dovrà essere direttamente collegato con iI magazzino libri mediante sistemi di trasporto meccanici per i volumi e per le schede di richiesta (montacarichi, nastri trasportatori etc.) ;
c) sala di consultazione di enciclopedie, dizionari, opere generali, atti parlamentari e raccolte legislative, e altre sale per la conservazione e la lettura di giornali e riviste;
d) ufficio del bibliotecario e 2 locali per le segreterie;
e) amministrazione, scambi e diritto di stampa mq.120;
f) catalogazione, copia schede, segnatura, inventario e cartellinatura (mq. 200);
g) sala riunione per quindici persone circa;
h) ambienti da destinare a spogliatoi e servizi igienici del personale, e servizi igienici per deputati ed estranei.
Uffici:
Uffici per il Servizio Studi, legislazione e commissioni parlamentari, una sala riunione con una ricettività di 50 posti ed uffici contigui per la Presidenza e la segreteria. Tali uffici dovranno essere adiacenti alla biblioteca e direttamente collegati con essa.
Uffici per il Servizio documentazione e statistiche parlamentari, direttamente collegati con il Servizio Studi, per funzionari ed impiegati.
Ristorante:
II ristorante, con una capacita di almeno 200 coperti, dovrà essere accessibile anche ad ospiti provenienti dall’esterno. A tal fine potranno essere previste due sale, di cui una riservata ai deputati.
Collegati con il ristorante dovranno essere previsti ambienti di disimpegno e di attesa, un piccolo bar, un guardaroba nonché tutti gli impianti accessori (cucina, frigoriferi, dispensa, servizi igienici) dimensionati tenendo presente il presumibile numero degli utenti e la necessità di un rapido avvicendamento degli stessi.
Sale di ricevimento del pubblico:
Il progetto dovrà prevedere da 15 a 20 sale per il ricevimento di singole persone e altre sale più grandi per il ricevimento di gruppi. L’accesso per gli estranei deve essere previsto direttamente dall’esterno; quello per i deputati anche dall’interno. Dovranno essere altresì previsti guardaroba e servizi igienici a disposizione del pubblico.
Archivio centrale:
Il progettista dovrà prevedere da dieci a dodici locali destinati ad archivio, nei quali saranno installati macchinari ed uffici, ubicati al primo piano interrato, in collegamento con il centro elettronico e con I’archivio legislativo sito nel Palazzo Basile.
Centro elettronico di elaborazione dati (C.E.D.):
Il progettista dovrà prevedere locali destinati al Centro elettronico di elaborazione dati e relativi uffici per un totale di 200 mq. di superficie utile. Nei locali destinati al C.E.D. saranno impiantati i sistemi elettronici e saranno sistemati, inoltre, gli uffici per il personale, gli spogliatoi per gli operatori, I’archivio elettronico e il reparto manutenzione delle macchine. Il Centro sarà ubicato al piano interrato e dovrà essere collegato con I’archivio centrale.
Centro riproduzione documenti:
Il progettista dovrà prevedere locali destinati ai reparti per riproduzione documenti nonché agli uffici relativi per un totale di 100 mq. di superficie utile in n. 2 locali, uno per la riproduzione a scanner e l’altro per la riproduzione fotografica.
Spazi di lavoro:
II progettista dovrà prevedere spazi di lavoro per 540 deputati. Gli ambienti dovranno consentire che a ciascun parlamentare possa essere riservato un posto di lavoro singolo costituito da un ampio scrittoio e da un complesso scaffale-stipetto. Attigui alle predette sale dovrà essere prevista un’anticamera per la segreteria dei deputati. In considerazione dell’attuale vita parlamentare, fatta più di lavoro di gruppo che di studio isolato, si propone di integrare gli spazi ufficio personali con n. 3 sale per le riunioni dei gruppi parlamentari, una di mq. 400 e 2 di mq. 150. Attigue alle predette sale si ubicheranno alcune stanze di segreteria.
Servizi vari:
II progettista dovrà prevedere locali destinati a:
a) banca: saranno previsti una sala sportelli per tutti i servizi bancari e due locali destinati a uffici. I locali destinati al servizio bancario potranno essere ubicati al piano terra in collegamento con I’atrio di accesso;
b) ufficio postale : una sala sportelli per tutti i servizi postelegrafonici, un ufficio destinato al direttore, tre uffici per il personale e i relativi servizi igienici e) bagni: saranno previsti tutti i servizi igienico sanitari occorrenti ai deputati;
c) servizi necessari e locali adeguati per gli impianti tecnici, di condizionamento d’aria, igienici, elettrici, ecc.
importante:
Lo studente dovrà inoltre prevedere I’inserimento della fontana barocca recuperata da Palazzo Ludovisi, a seguito dei lavori di inserimento dell’aula parlamentare, di cui saranno in seguito forniti i materiali di rilievo.

BIBLIOGRAFIA SPECIFICA SUL CONCORSO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
Koenig G. K., Montecitorio, valle di lacrime, «Casabella» 321/1967
Tafuri M., Il concorso per i nuovi uffici della Camera dei Deputati, Roma 1968
Piperno L. (a cura di), Grandi concorsi italiani tra il 1945 e il 1986, in « Rassegna » n.61, 1995, anno XVII

LABORATORIO DI PROGETTAZIONE

Università “Sapienza” di Roma-Corso di Laurea Magistrale in Architettura (Restauro)

LABORATORIO DI PROGETTAZIONE II

Anno accademico 2014/15 Corso A, prof. Giuseppe Strappa

collaboratori : prof. Paolo Carlotti, archh. Annarita Amato, Antonio Camporeale, Giusi Ciotoli, Marco Falsetti, Giancarlo Salamone, Illy Taci, Cristina Tartaglia.

Sede di Fontanella Borghese, Aula 8. Orario Martedì e Venerdì ore 9-13

Generalità Il Laboratorio si propone l’obiettivo di concludere la formazione dello studente architetto, giunto all’ultimo anno dei propri studi e quindi alla maturità didattica, attraverso un esercizio di sintesi progettuale che unifichi le esperienze compiute nei corsi precedenti. Questo fine sarà perseguito attraverso un itinerario didattico/progettuale che ha inizio dalla lettura critica del luogo, continua con l’individuazione dei problemi posti dall’area di studio e la selezione di soluzioni congruenti, concludendosi con la produzione di una “forma” architettonica, sintesi estetica che conclude il processo. Forma intesa nel senso, il più utile per l’architetto, di aspetto visibile di una struttura in continua trasformazione della quale verranno esaminati gli aspetti fondamentali: spaziali, costruttivi, espressivi. Il nuovo intervento dovrà essere elaborato, dunque, come esito provvisorio di uno svolgimento in atto, pienamente inserito nel grande flusso delle trasformazioni dell’organismo urbano.

Tema del progetto d’anno Il Laboratorio si colloca all’interno del Corso di Laurea Magistrale in Architettura e Restauro, un ambito culturale, quindi, che richiede uno studio particolare del rapporto con le preesistenze. Nell’ Anno accademico 2014/15 verrà proposto l’esperimento progettuale di un intervento di edilizia specialistica, ottenuto per trasformazione del tessuto edilizio storico esistente, nell’area ottenuta dalle demolizioni effettuate per la costruzione del Palazzo Basile (Camera dei Deputati) compresa tra Via della Missione, Piazza del Parlamento, Via di Campo Marzio e, sul quarto lato, dalle pareti cieche risultanti dalle demolizioni. Il nuovo organismo architettonico sarà destinato a funzioni complementari alle attuali strutture della Camera dei Deputati, da tempo insufficienti soprattutto per carenze di spazi amministrativi. Funzioni e superfici del nuovo progetto saranno indicate sulla base del concorso del 1967, con gli aggiornamenti dovuti alle nuove condizioni imposte dalle trasformazioni avvenute sia in relazione alle richieste funzionali che alla nuova attenzione alle preesistenze archeologiche, assai rilevanti nell’area. Le ipotesi didattiche prenderanno atto delle demolizioni prodotte e della necessità di continuare un processo iniziato con la trasformazione di Palazzo Ludovisi. Il nuovo progetto, evitando ogni imitazione storicistica, sarà quindi il prodotto di una trasformazione che parte dalla lettura dell’esistente di cui verranno interpretati i caratteri formativi. Il progetto dovrà risultare, in altri termini, esito di un processo di trasformazione in atto che considera la città, anche nella sua parte storica, quale organismo in continua trasformazione che, come tale, richiede interventi necessari, proporzionati e congruenti. L’area è stata scelta sia perché particolarmente esemplificativa del processo formativo dei tessuti storici romani, sia perché è stata oggetto di un concorso che ha costituito uno dei nodi irrisolti all’interno della vicenda moderna dell’architettura romana. Gli studenti elaboreranno in gruppo (di tre studenti al massimo) una lettura critica dell’area di studio relazionandola al più generale contesto urbano, interpretando il ruolo del nuovo intervento in relazione alla gerarchia dei percorsi e dei caratteri degli organismi edilizi al contorno. Lo studio investirà anche eventuali spazi ed edifici esistenti, in modo che il risultato dell’intervento sia la produzione di un nuovo luogo, non semplicemente di un edificio. All’interno di questa prima lettura generale comune, gli studenti svilupperanno poi, singolarmente, il progetto dell’ edificio speciale. Per le particolari richieste del tema e del luogo, il progetto dovrà inoltre indagare il significato e il linguaggio di una nuova architettura che, inevitabilmente, farà i conti col problema del “monumento” contemporaneo: dovrà prevedere ipotesi congruenti col tessuto storico col carattere simbolico del nuovo edificio attraverso soluzioni contemporanee che evitino qualsiasi imitazioni stilistica dell’esistente. Particolare attenzione verrà posta ai problemi statico-costruttivi, per i quali si richiedono soluzioni mature e aggiornate, come ci si aspetta da studenti al quinto anno del corso di studi. Altre informazioni saranno fornite sul sito http://w3.uniroma1.it/strappa dove lo studente troverà anche alcune sintesi di lezioni utili a definire il metodo d’intervento.

Modalità di svolgimento del Laboratorio Il Laboratorio sarà articolato in un ciclo di lezioni ed esercitazioni settimanali, alcune in comune col parallelo corso B, finalizzate a fornire allo studente alcune premesse di metodo, e nell’elaborazione di un progetto d’anno definito anche nei suoi principali aspetti tecnici. Verrà utilizzata la piattaforma e.learning per documentazioni, informazioni, consegne. Il tema d’anno sarà sviluppato attraverso comunicazioni in aula, revisioni periodiche e verifiche collettive dei singoli progetti inseriti nel contesto della lettura elaborata in gruppo. Si terranno, come introduzione al progetto d’anno, lezioni sui seguenti temi: – Lettura dei processi formativi dell’edilizia specialistica in area romana; – Vicende e progetti di trasformazione dell’area di studio con particolare riferimento al concorso del 67; – Caratteri dell’architettura moderna nell’area romana; Le lezioni successive riguarderanno informazioni e riflessioni su temi direttamente legati alla progettazione (organizzate anche in funzione delle richieste degli studenti) con esempi di letture e progetti d’interventi urbani. Sono previste consegne intermedie (da depositare su e.learning) che saranno valutate dalla docenza e contribuiranno alla formazione del voto finale. La frequenza è obbligatoria. Gli studenti che non avranno frequentato almeno il 70% delle lezioni o che non avranno effettuato due o più consegne, non verranno ammessi agli esami.

Modalità di svolgimento degli esami L’esame consisterà: 1. In un colloquio sull’ apprendimento degli argomenti trattati a lezione, approfonditi attraverso le indicazioni bibliografiche ed elaborati in modo originale attraverso un saggio critico (teoria). Il testo (considerato fondamentale) illustrerà, anche con grafici, il metodo di lettura seguito, le premesse teoriche del progetto, il suo carattere di esito di un processo di trasformazione. Il testo (15/20 cartelle) sarà depositato sul sito e.learning quattro giorni prima dell’esame, in modo che la docenza possa prenderne visione; 2. In una discussione degli elaborati progettuali (pratica). Le tavole di progetto saranno redatte nel formato unificato A1 secondo il format che verrà indicato dalla docenza. Gli elaborati comprenderanno: – Tavola/e di lettura dell’esistente in scala 1:500; 1:200; – Tavole del progetto inserito nelle preesistenze in scala 1:500 (o comunque in scala opportuna) e disegni (piante, sezioni, prospetti) in scala 1:200, 1:100, 1:50 eseguite nel formato unificato; – tavola dei materiali e delle strutture; – assonometrie; modello in scala e/o render 3D.

Testi e riferimenti bibliografici. Testo di riferimento del corso è: G.Strappa, L’architettura come processo, Franco Angeli, Milano 2014. Altri testi utili: G.Strappa, Unità dell’organismo architettonico. Note sulla formazione e trasformazione dei caratteri degli edifici, Bari, 1995 (on line sul sito indicato). G. Carbonara, Architettura d’oggi e restauro. Un confronto antico-nuovo, Torino 2011. M. Tafuri, Il concorso per i nuovi uffici della Camera dei Deputati. Un bilancio dell’architettura italiana, Roma 1968 (on line sul sito indicato). La bibliografia specifica sarà fornita di volta in volta in relazione alle singole comunicazioni didattiche. Di alcuni saggi e articoli, quando consentito dalle leggi vigenti, sarà fornita copia sul sito http://w3.uniroma1.it/strappa.

convegno morfologia urbana e progetto – 6 novembre

Bassa definiz. poster UM 6 novembre

link alla locandina del convegno di fondazione dell’ Isuf Italy  : 2007 ISUF ITALY fondazione

La morfologia è lo studio della forma come aspetto visibile di una struttura. Forma come formazione che presuppone un processo formativo conoscibile e razionalmente indagabile come strumento di progetto. La stessa forma può essere riguardata, sotto questo aspetto, come organismo, e come tale considerata formata e formante, con proprie leggi interne che legano le parti in unità. Per l’architetto l’uso della morfologia, ritengo, è molto importante: significa leggere il territorio come architettura, studiarne la forma come organismo territoriale dove le parti si legano in rapporto di necessità. Considerare il paesaggio non solo nei suoi aspetti legati alla percezione, ma come aspetto visibile delle strutture territoriali. Lo stesso vale per l’organismo urbano e i tessuti: la città come processo di trasformazione, forma in continuo divenire. E gli stessi edifici possono essere considerati come organismi edilizi, dove la forma attuale deriva da un processo di trasformazione dalla materia al materiale, agli elementi, alle strutture,  all’organismo. La forma dell’architettura che percepiamo è, dunque, solo un provvisorio momento di equilibrio all’interno di questo flusso continuo di trasformazioni.

LETTURA DEL TERRITORIO

PROF. GIUSEPPE STRAPPA

 

1. IL TERRITORIO COME ORGANISMO

Il territorio è architettura nel suo significato più pieno.
Esso nasce dalla collaborazione tra uomo e natura.
La derivazione etimologica del termine (da terra contrapposto al termine mare) contiene la nozione di luogo abitato, quindi trasformato, costruito e ricostruito dalla mano dell’uomo, contrapposto a quella di luogo inabitato.
Il territorio è anche una grande eredità civile, un patrimonio nel quale sono inscritte le scelte e le trasformazioni operate dalle popolazioni che vi sono vissute. Per questo ogni intervento a questa scala obbliga alla comprensione dei caratteri che possiamo conoscere attraverso la sua forma, sapendo che questa forma è l’esito riconoscibile di un processo in atto.
Essendo il territorio costituito da parti collaboranti, è possibile leggerlo attraverso la nozione di organismo, cioè di insieme di elementi, strutture, sistemi legati da un rapporto (variabile nel tempo) di necessità. E come in ogni organismo è possibile riconoscere nel territorio fasi e cicli storici che ne determinano la formazione, la trasformazione, la frammentazione, la rovina.
Quella di organismo territoriale come luogo abitato costituito di parti collaboranti (percorsi, insediamenti, aree produttive) è, dunque, una nozione complessa che sintetizza i processi analizzati a tutte le scale minori: organismo edilizio, organismo aggregativo, organismo urbano.
Il concetto di territorio deriva dal nesso che lega l’idea di suolo naturale a quella delle trasformazioni artificiali operate dall’uomo nel processo di antropizzazione (trasformazione abitativa e produttiva) del suolo stesso. Noi cogliamo questo processo attraverso momentanei stati di equilibrio che  restituiscono un’idea discreta di una sequenza storica che è, invece, flusso continuo di modificazioni e rivolgimenti.
Per questo non è comprensibile il senso storico-processuale di un organismo urbano o di un sistema di percorrenze, se non si colloca la loro formazione all’interno di un rapporto di necessità con l’insieme delle relazioni instaurate nel tempo e nello spazio entro il proprio intorno territoriale. Questa forma del territorio antropizzato non é che l’aspetto visibile di una struttura di relazioni che lega nella nozione di organismo i diversi gradi scalari del costruito e che indicheremo col termine “paesaggio”.
L’organismo territoriale si forma e sviluppa secondo processi differenziati storicamente ed arealmente che possiedono, tuttavia, una loro tipicità, al pari di ogni altro esito del processo antropico. Si può parlare dunque di “tipo territoriale” come insieme dei caratteri fisici processualmente ereditati (patrimonio) comuni ad un intorno storico-geografico, ovvero come insieme delle nozioni e scelte insediative comuni che determinano il complesso delle operazioni di trasformazione del luogo naturale in luogo abitato.
Questa tipicità di comportamento si individua (assume caratteri individuali, unici, irripetibili) nelle trasformazioni reali del suolo determinate nello spazio e nel tempo in funzione di variabili naturali (sistema oro-idrografico, natura geologica del suolo ecc.) e storiche (in relazione, cioè, ad una determinata fase civile). Grazie alla nozione di tipicità è possibile riconoscere il maggiore o minore grado di organicità di un territorio, il quale può essere costituito anche da elementi relativamente autonomi e seriali, che comunque risultano polarizzati da un ordine formativo (dislocativi) più generale, insito nella nozione stessa di organismo.
A somiglianza di quanto avviene nel primo e più elementare dei processi di trasformazione antropica, cioé della materia in materiale, anche l’ultimo e più complesso fenomeno di trasformazione del suolo naturale in suolo abitato é relazionato a scelte operate attraverso un processo di selezione e specializzazione.

–    la selezione (da seligere, scegliere) deriva dalla coscienza della differenza tra le cose e dal riconoscimento della loro idoneità ad essere utilizzate e trasformate. L’operazione di selezione è qui intesa come scelta dell’attitudine di un suolo ad essere percorso, ad essere trasformato per uso abitativo o produttivo; potrebbe essere identificata come momento logico nel rapporto di collaborazione tra uomo e natura, quello attraverso il quale vengono valutate le diverse possibilità degli elementi componenti ad essere utilizzati, eventualmente dopo convenienti trasformazioni;

–    la specializzazione, è l’attività di restringere e trasformare i caratteri di una cosa per renderla adatta a particolari finalità. Deriva dall’individuazione del rapporto di complementarità e necessità tra le cose. L’operazione di specializzazione è qui intesa come trasformazione di parti di suolo in funzione dei particolari ruoli che devono svolgere all’interno dell’organismo territoriale. Gerarchizzandosi, ad esempio, i percorsi assumono caratteri e qualità diverse in relazione al rapporto che instaurano con l’insieme del territorio. In questo senso la stessa costruzione che, se vista sotto il solo aspetto tettonico può essere considerata trasformazione finalizzata di materia, può qui essere intesa secondo la diversa ottica di modificazione specializzata di una porzione di territorio. La specializzazione può essere identificata come momento tecnico-economico nel processo di antropizzazione del territorio, quello nel quale interviene la finalizzazione individuale, cui succederà una finalizzazione collettiva e una sintesi organica leggibile.

Queste operazioni possono essere lette attraverso una prima, fondamentale diade di termini opposti e complementari composta da “insediamenti” e “percorsi”, legati al moto ed alla sosta in funzione dei bisogni primordiali dell’uomo di proteggersi e alimentarsi.
Da quanto esposto si riconosce al termine “insediamento” il significato di struttura provvisoria o stabile costituita da un insieme di abitazioni relazionate organicamente ad un’area complementare produttiva. Potremmo pensare i primi insediamenti provvisori, come appartenenti alle civiltà dei cacciatori e raccoglitori, seguiti da insediamenti semistanziali, legati alle prime forme di coltivazione o allevamento, dove la nozione di dimora (etimologicamente derivata da de-morari, indugiare, con il senso di permanenza in un luogo) viene associata più stabilmente a quella di area di pertinenza. Il possesso di un’area é dovuto, in origine, all’appropriazione causata dal lavoro  che vi veniva svolto con maggiore o minore continuità. E’ da ritenere, a questo riguardo, che le prime, embrionali forme stabili di aree di pertinenza possano essere associate alle trasformazioni antropiche dell’età neolitica, con la diffusione delle coltivazioni, soprattutto cerealicole, dovuta all’esigenza di superare l’instabilità della semplice raccolta sporadica.
Ma la definitiva nozione di associazione di un suolo alle strutture costruite dall’uomo per utilizzarlo, e cioé alle modificazioni antropiche stabili, é da ricercare in quelle fasi storiche e in quelle aree dove la necessità di continua manutenzione del suolo comportava una maggiore consuetudine tra lavoro dell’uomo e area produttiva, come nei territori dove le condizioni per la coltivazioni dovettero essere prodotte artificialmente attraverso sistemi di irrigazione permanenti  che comportavano tanto una collaborazione organica tra opere artificiali e suolo naturale quanto una collaborazione organizzativa e specializzazione tra gruppi di lavoro all’interno della comunità agricola.
Questo atto di addomesticamento delle condizioni naturali del suolo, comportando trasformazioni da operare sulla natura semplicemente “incontrata”, implica infatti non solo una scelta insediativa, ma anche la chiara coscienza dell’appartenenza di un suolo alla comunità che lo lavora.
E’ un passaggio culturale che avviene gradualmente attraverso fasi successive di semistanzialità.
Nella conquista della coscienza di identità sociale (il riconoscimento dell’appartenenza al gruppo) collegata alla coscienza di identità territoriale (il riconoscimento di un suolo di pertinenza, più o meno esteso, appartenente al gruppo) consiste l’origine profonda  della natura conflittuale delle trasformazioni territoriali. Natura conflittuale che, evidentemente, non é solo,come potremmo oggi dedurre dalla pura osservazione dei fenomeni di frammentazione in corso, un portato della modernità (della formazione delle grandi periferie urbane, dell’aggressione della speculazione edilizia alla condizione di equilibrio che le nostre generazioni avrebbero ereditato) ma conseguenza dello stesso processo formativo della nozione di “pertinenza”  .
L’appropriazione dell’area avviene progressivamente col consolidarsi della stabilità della dimora e del rapporto di uso produttivo col suolo: dall’ allevamento brado al pascolo, dall’area di caccia alla riserva, dall’area di raccolta al suolo pubblico (in età storica l’ager publicus  romano o il legnatico  medievale). A partire da questi processi si svilupperà una partizione delle proprietà pubbliche e private progressivamente associate al costruito quanto più l’area mostrerà sucettibilità insediativa, dando origine al concetto giuridico di proprietà del suolo fondamentale nella dialettica formativa dell’assetto del territorio.
Processi che lasciano, ovviamente, un loro segno visibile sul territorio il  qulae, per questa ragione, può essere considerato nel suo aspetto fondamentale di “documento”.
Con il passaggio dall’allevamento brado al pascolo si consolida, infatti, la nozione di recinto  associata a quella di area di pertinenza nella doppia funzione di protezione e contenimento: le palizzate del neolitico avevano tanto lo scopo di proteggere quanto di impedire la fuga.
La coltivazione, inizialmente costituita soprattutto da cereali, rappresenta una rivoluzione antropica anche per la necessità di specializzazione dell’abitazione che comporta, dovendosi assicurare, associato allo spazio per la vita domestica, le strutture per la conservazione del raccolto, spesso, nelle aree eurasiatica e nordafricana, nella forma specializzata di silos circolari . Ma il processo di progressiva organicità del territorio matura solo con l’integrazione tra le diverse concause che originano la strutturazione antropica: integrazione non progrediente in modo continuo, anzi, ciclicamente conquistata e riperduta. Delle relazioni  tra queste componenti che tendono a stabilire un rapporto organico tra loro,  alcune hanno valore fondamentale e la relativa cartografia acquista particolare valore per il progettista:
– quelle connesse alla produzione, e cioé tra insediamenti, attività agricola ed allevamento. Solo quando l’integrazione tra fertilizzazione del suolo e produzione di foraggio per l’allevamento si sviluppa in modo continuo, si può parlare di organismo produttivo associato al territorio. Associazione che diviene complessa, ma ancora processualmente leggibile, con la rivoluzione industriale. La contemporanea cartografia dell’ uso del suolo semplifica e riduce i poli e le aree di attività produttiva. Si veda come esempio la cartografia dell’Istituto Geografico Militare al 50.000 (alla fine del XIX secolo scorso) e al 25.000 (nel XX secolo).
– quelle connesse alla proprietà, e cioé tra suoli pubblici e privati. Solo quando viene stabilito e regolamentato l’uso dei suoli a disposizione della comunità integrati ai fondi privati, si può parlare di organismo fondiario (v. più oltre l’esempio del sistema a centuriatio). La cartografia catastale contemporanea semplifica la rappresentazione del territorio indicando i soli confini di proprietà alle scale 2.000 o 1.000.
Riguardato come organismo il territorio risulta composto, per la definizione generale data,  da insiemi di strutture riconoscibili come concorrenti al medesimo fine, ma non autonome: segnatamente, per comprendere il processo formativo dell’organismo territoriale, occorre prendere in esame il  sistema viario o sistema delle percorrenze, e quello strettamente correlato degli insediamenti , o sistema insediativo e, in seguito, una volta esaminato l’impianto generale, anche il sistema della partizione delle proprietà del suolo, o sistema fondiario, e il sistema, strettamente correlato, della utilizzazione delle risorse naturali (aree agricole e manifatturiere) o sistema produttivo, che si formano in una fase storicamente più matura del processo di antropizzazione del territorio.
Questi sistemi non svolgono compiti astrattamente di collegamento, di abitazione e produzione, ma sono inscindibilmente collegati, oltre che tra loro, al relativo sistema oro-idrografico da relazioni organiche: un promontorio naturale, separato da due displuvi, costituisce un primo intorno nel quale l’uomo riconosce caratteri specifici, trova un’identità tra gruppo e suolo naturale, così come, in una fase successiva, un bacino idrografico, isolato da confini orografici difficilmente superabili, costituisce la sede di sviluppo di un’area culturale relativamente omogenea per la facilità degli scambi interni che consente. Questi quattro sistemi, benché strettamente integrati, sono inoltre polarizzati per diadi: non solo storicamente, ma anche logicamente percorrenze e insediamenti costituiscono a loro volta sottosistemi di un sistema di maggiore complessità all’interno dell’organismo, così come fondi e strutture produttive possono essere riguardati come formanti un unico sistema unitario.

2. LETTURA E RAPPRESENTAZIONE DEL SISTEMA DELLE PERCORRENZE, DEGLI INSEDIAMENTI, DELLE AREE PRODUTTIVE

La cartografia è una rappresentazione simbolica di una porzione di territorio: come tale essa costituisce il risultato di una riduzione critica delle nozioni dedotte dall’osservazione del territorio stesso, comunicate attraverso forme simboliche.
Il simbolo (dall’indoeuropeo symballein, unire, mettere insieme), a sua volta, esprime in modo sintetico diverse nozioni considerate fondamentali: esso è dunque frutto di una scelta e di una selezione. Per questa ragione lo strumento cartografico (i simboli e la struttura che lega i simboli tra loro) è in diretta relazione con l’idea che l’autore ha espresso, all’interno di un’area culturale e di una determinata fase storica, del territorio che ha rappresentato.
Come è possibile tracciare le linee di un processo di trasformazione del territorio, così è possibile tracciare le linee di un processo di trasformazione degli strumenti cartografici. Il quale testimonia non solo (e non tanto) le mutazioni dei caratteri del territorio stesso, ma, soprattutto, la conoscenza e coscienza che, nelle diverse fasi storiche e nei diversi intorni civili, l’uomo ha avuto dell’ambiente costruito contemporaneo o del passato.
La Tabula Peutingeriana riporta soprattutto una struttura di percorsi; nell’atlante dell’Italia di Giovanni Magini (1620) non compaiono quasi i percorsi di terra; in una moderna carta automobilistica la rete stradale prende il sopravvento sulla rappresentazione degli altri dati osservabili sul territorio; la pianta di una metropolitana, infine, è soprattutto il disegno simbolico ed astratto di una rete, senza rapporto diretto con le dimensioni fisiche delle distanze tra i poli collegati.
Per il progettista, al quale occorre leggere il territorio in modo attivo, avendo come fine l’intervento, è dunque fondamentale estrarre con coerenza le informazioni dalle cartografie disponibili.
Questa coerenza costituisce il legame tra soggetto e oggetto della lettura territoriale: tra quello che il progettista cerca attraverso la rappresentazione cartografica (legata alla propria nozione di territorio ed allo scopo della lettura) e quanto le diverse cartografie possono offrire (legato alla nozione di territorio dell’autore e allo scopo della rappresentazione).
Nel seguito si riporta un criterio di lettura, legato alla nozione di territorio inteso come organismo, attraverso l’esposizione sintetica della nozione di organismo territoriale, della rappresentazione delle sue strutture (fondamentali all’interno della nozione di organismo esposta), degli strumenti operativi che permettono di estrarre dai diversi tipi di cartografia le nozioni ritenute utili.

La rappresentazione della struttura del territorio, individuata attraverso le fasi del suo uso antropico, non può che iniziare dalla lettura dei percorsi: dal modo nel quale essi si formano, si consolidano, si articolano, specializzano e gerarchizzano tra loro in modo collaborante, in rapporto di reciproca necessità secondo relazioni di congruenza e proporzione con gli insediamenti cui fanno capo. Il moto dell’uomo sul suolo, i segni lasciati dagli spostamenti, attraversamenti, migrazioni, precedono, infatti,  qualunque altra traccia: qualsiasi struttura legata ad attività lavorativa e stanziamento viene associata ai percorsi, più o meno stabili, che ne permettono l’esistenza.
I percorsi, come ogni dato della realtà costruita, hanno una loro tipicità, sono cioé  riconoscibili, nel loro formarsi ed evolversi, caratteri comuni che ne individuano storicamente la fase di appartenenza e, arealmente, la pertinenza ai caratteri naturali  del suolo cui sono associati.
Una prima, orientativa distinzione tra percorsi tipici può essere attuata attraverso la gerarchia del compito che svolgono, e quindi attraverso le polarizzazioni che distinguono i tracciati definendone le scale:
percorsi territoriali generati in origine dalle migrazioni ed, in seguito, dai collegamenti tra aree culturali di grande polarizzazione (ne sono esempio contemporaneo i percorsi autostradali) ;
percorsi locali, interni a ciascuna area o tra aree di confine, polarizzati dagli insediamenti e dai nuclei urbani;
percorsi fondiari, collegamenti alla scala delle aree produttive;
percorsi urbani, collegamenti interni alle aree urbane.
Questi percorsi si strutturano, a loro volta, secondo gerarchie che stabiliscono rapporti organici nell’uso del territorio (abbiamo già visto, ad esempio, come nei percorsi urbani é riconoscibile un ruolo processualmente diverso dei percorsi matrice, di impianto edilizio, di collegamento, di ristrutturazione ).
Una seconda distinzione può riguardare la stabilità dei percorsi, la quale é comunque legata alla loro gerarchia e alle fasi formative.
Le più elementari e spontanee vie di comunicazione sono costituite dai cammini  originati dal semplice atto del percorrere, e dai sentieri, tracciati in modo sommario dal passaggio frequente di persone e animali, come le mulattiere. E’ interessante notare come i due termini moderni non derivino da etimi impiegati nell’uso del territorio consolidato presso i romani,  ma  da neologismi del latino tardo, quando le strutture di percorsi consolidate erano in via di disfacimento: da un termine di origine gallica (camminum) il primo, e da mitarium, aggettivo sostantivato del termine classico semita, il secondo.

La pista (da pesta e, quindi, pestare, quindi “traccia”, “orma”), é il corrispondente termine che indica, alla scala del territorio, una via segnata dal solo passaggio frequente di persone e animali. Anche se alcune piste rimangono persistenti per secoli  esse rappresentano, per loro natura, una forma precaria e instabile di percorso, non consolidata da strutture insediative, le quali si pongono invece come sole polarizzazioni. Si pensi alle carovaniere, il cui scopo era la percorrenza di un territorio al fine di collegare direttamente due insediamenti urbani , a volte con strutture specialistiche di supporto quali, nel mondo islamico, i caravanserragli disposti ad intervalli di un giorno di marcia. La struttura della carovaniera obbedisce dunque ad un principio formativo diverso da quello della strada, che svolge anche un ruolo strutturante nei confronti degli insediamenti produttivi. Una chiara testimonianza di questa diversità é data, ad esempio, dalla quasi completa sostituzione da parte dei conquistatori turchi, del sistema viario anatolico romano-bizantino con carovaniere che non riutilizzavano le vecchie strade militari e commerciali, pur in condizioni ancora accettabili, con carovaniere che univano direttamente le città principali.
Un esempio di permanenza moderna di tracciati di questo genere é costituita dai tratturi (da trarre, e quindi dal latino trahere, nel senso di portare, condurre da un luogo all’altro) appenninici,  sentieri naturali tracciati dalla transumanza delle greggi. In alcune regioni i tratturi costituivano fino all’inizio del secolo importanti percorsi di attraversamento a scala territoriale, collegando i pascoli, dove le greggi svernavano, ai pascoli estivi ed ai luoghi di mercato.
Al contrario dei tipi di percorsi fin qui esaminati, il termine strada contiene il concetto di stabilità, derivando da strata (sottinteso via), nel senso di via lastricata, e quindi stabilizzata in modo permanente, che richiede lo stesso procedimento critico di qualsiasi altra costruzione, così come l’etimologia di termini recenti quali carraia, rotabile, autostrada, testimonia il loro senso di percorso specializzato.

3. IL PROCESSO FORMATIVO DEI PERCORSI

Determinante é la tipologia di percorsi in rapporto alle caratteristiche idro-orografiche di un territorio, ed alle fasi che rappresentano il processo formativo del relativo sistema insediativo: si possono così distinguere  i seguenti percorsi, che rappresentano, anche, una sequenza storica, da rintracciare nei documenti, per la lettura del territorio (cioé per la sua individuazione e interpretazione):

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Percorso di crinale nel Volterrano. Gallicano. Nucleo urbano alla testata di un crinale secondario

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Gallicano. Formazione delle corti elementari isorientate su percorso di crinale

I percorsi di crinale, seguono l’andamento naturale della linea di spartiacque che divide due bacini idrici. Questa linea é spesso già sede di una pista territoriale naturale che collega aree diverse tra loro perché  isolate dalla conformazione orografica del suolo  (bacini idrici).
La ragione della formazione della più antica struttura di percorrenze di un territorio a partire dal crinale delle aree montuose è da ricercare proprio nella scala di questi collegamenti, ma anche nella possibilità di orientamento garantita dal seguire l’inviluppo dei punti geograficamente più elevati di un territorio, oltre al vantaggio di evitare i problemi di attraversamento delle basse pianure, spesso ancora paludose nelle prime fasi di strutturazione del territorio, e comunque di più problematico attraversamento per la necessità di superare, se non si rimane all’interno di un singolo bacino idrico, i guadi e i valichi che comporta. Nella primitiva formazione dei percorsi di crinale è da ricercare la ragione per la quale, come afferma anche Fernand Braudel , la civiltà si evolve dalla montagna verso il mare, contrariamente a quanto la nostra “civiltà di pianura” indurrebbe a credere. Va anche notato, fattore non secondario delle scelte nella prima fase di antropizzazione, che il percorso di crinale non richiede rilevanti opere di adeguamento del suolo essendo la sua sezione pressoché orizzontale.
A seconda dell’importanza del sistema montuoso cui sono associati i percorsi di crinale sono gerarchizzati in:

percorsi di crinale principale, seguono le catene principali e costituiscono la sede naturale per le penetrazioni territoriali attraverso la discesa ai diversi bacini idrici. Vengono strutturati di preferenza dove é possibile utilizzare lo spartiacque più continuo.
Nell’ Italia centro-meridionale i percorsi di crinale principale, di pura percorrenza perché utilizzati per i soli spostamenti territoriali nord-sud, si sono formati già nell’età del rame e del bronzo, e sono costituito dagli spartiaque della catena degli Appennini, sede naturale delle percorrenze migratorie delle popolazioni italiche. Si distingue un crinale italico più alto, verso la costa adriatica, ed un crinale etrusco, meno continuo e rilevato, verso la costa tirrenica.

–    percorsi di crinale secondario, potenziali crinali insediativi che seguono le linee spartiacque che si dipartono dal crinale principale, costituendo l’accesso ad altrettanti promontori che si affacciano  su valli, direttamente o attraverso promontori secondari. Nell’ Italia centro-meridionale sono evidenti le serie di crinali secondari che, partendo dal crinale italico, si dirigono verso la costa adriatica in successione serrata, seriale, e dal crinale etrusco verso la costa tirrenica in successione  più distanziata.

–    percorsi di controcrinale locale, che si formano come percorsi su isoipse ad alta quota e servono quindi ad unire punti nodali dei percorsi di crinale secondario. Vengono generati dall’esigenza di scambio e presuppongono non solo una struttura elementare di insediamenti stabili, ma anche una prima forma di specializzazione produttiva che renda necessario lo scambio stesso. In pratica sostituiscono, per alcuni tratti, il percorso di crinale principale e si pongono su una giacitura alternativa ad esso. I percosi di controcrinale presuppongono il raggiungimento di una elevata capacità tecnica di modificare la forma del suolo richiedendo di superare almeno un compluvio e, a differenza dei percorsi di crinale, di adattare la sezione inclinata del suolo, con scavi e riporti, alla sezione necessariamente orizzontale del percorso.

–    percorsi di controcrinale continuo, che si formano come percorsi su isoipse a bassa quota e tendono a sostituire integralmente i percorsi di crinale principale.Sono percorsi di scambio a vasto raggio tra insediamenti generati da esigenze commerciali.

–    percorsi di controcrinale sintetico, che sono prodotti da due crinali con guado interposto, o posti a scorciatoia di un crinale principale. Il superamento del guado ha il significato di connessione tra due aree culturali, di estensione delle connessioni e degli scambi, inducendo alla formazione di un mercato prima e, spesso, di un nucleo urbano poi.

percorsi di fondovalle, che si svolgono, invece, seguendo le linee di compluvio del sistema orografico, risultando così opposti e complementari ai percorsi di crinale. Vengono formati alla fine del processo di impianto della struttura territoriale e sono i meno stabili, come meno stabile é l’occupazione delle pianure, che richiede continuità nel lavoro agricolo e nelle sistemazioni idrografiche relative. Si distinguono:

–    percorsi di fondovalle principale, i quali non seguono in realtà la linea di compluvio: come i percorsi di crinale  non seguono esattamente la linea di displuvio, per le difficoltà naturali che essa può presentare (picchi, pareti ecc.) ma si adattano ad essa attraverso raccordi di quota, così il percorso di fondovalle può non occupare la sede immediatamente adiacente ai corsi d’acqua, ma porsi, più spesso, a ridosso di essa, adattandosi ai sistemi di piccoli rilievi del terreno o seguendo le linee di margine della pianura (percorsi pedemontani).

–    percorsi di fondovalle secondario, che si dipartono spesso dalle pedemontane, per seguire i compluvi delle valli comprese tra due promontori, risultando complementari ai percorsi di crinale secondario.Questi percorsi svolgono un ruolo importante di collegamento tra bacini idrici, raggiungendo i valichi a cavallo tra di essi.

Gli insediamenti si costituiscono, in forma storicamente tipica soprattutto nell’Italia centrale  , a partire dai  rilievi montuosi ed a scendere verso la costa, dove si saldano in una struttura organica con gli insediamenti complementari che si formano intorno ai guadi ed agli approdi.
E’ evidente come, contemporaneamente alla discesa a valle ed alla progressiva specializzazione della produzione, nasca la necessità dello scambio e dei relativi percorsi: insediamenti e percorsi sono dunque legati  da uno stesso processo formativo.
Primi a formarsi sono gli insediamenti di crinale, che si formano sui crinali secondari dalla discesa dal crinale principale impiegato per i grandi attraversamenti. Processualmente, quindi, si formano prima gli insediamenti in quota, che rappresentano la prima forma stabile di occupazione del suolo, spesso al livello delle sorgive, e successivamente gli insediamenti che tendono ad occupare l’intero promontorio fino alla testata sulla valle.
L’insediamento di testata di crinale (o di basso promontorio) costituisce dapprima una polarità territoriale, seppure a scala ridotta, costituendo la terminazione (e quindi polarizzazione) di un percorso, e successivamente, un nucleo protourbano , un nodo di scambio (attraverso la formazione di nodalità di percorsi) con la valle, nel momento in cui ha origine la fase di occupazione e strutturazione  delle pianure, spesso paludose, nei quali si stabiliscono gli insediamenti di fondovalle, soprattutto alla confluenza di percorsi in corrispondenza di guadi, e quindi prima della biforcazione dei fiumi, dai quali si sviluppano nuclei protourbani (per il ruolo di mercato che la nodalità territoriale assume) e quindi, nei casi di forte polarità, nuclei urbani.
Caso particolare dell’insediamento di basso promontorio è l’insediamento acrocorico, collocato su un rilievo orografico elevato rispetto all’intero territorio circostante e quindi difeso dalle caratteristiche del suolo non solo su tre lati ma sull’intero perimetro. E’ comunque evidente che, quando l’insediamento non avvenga in uno stadio avanzato della formazione del territorio per il solo controllo delle grandi vie di transito, il comportamento dell’insediamento acrocorico risponderà al principio di essere derivato dal processo formativo del crinale secondario cui è orograficamente e storicamente legato e dal quale derivano i percorsi originari che lo hanno formato.
Nel IV sec. a. C., quando inizia la colonizzazione romana e la strutturazione o il consolidamento dei fondovalle, il territorio della penisola é strutturato ancora in nuclei protourbani. Nelle aree interne appenniniche centro-meridionali gli insediamenti a carattere tribale (pagi) consistono in nuclei arroccati su promontori. In questa fase, soprattutto nell’Etruria e nella fascia costiera dell’Italia centro-meridionale, è già strutturato un sistema di poleis, città stato che risentono, spesso in modo indiretto,  l’influenza della colonizzazione greca.

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Il sistema dei percorsi in relazione all’ipotesi della formazione pianificata della città di Trani (da G.Strappa, M.Ieva, M. Dimatteo, La città come organismo. Lettura di Trani alle diverse scale, Bari 2003)

Gli insediamenti costieri di approdo sono centri specialistici per il commercio e lo scambio (in questo simili ai nodi di mercato che si formano, spesso, in corrispondenza dei guadi) dai quali si originano sulla costa nuclei urbani in corrispondenza, spesso, con insediamenti di basso promontorio più interni, alla testata di crinali secondari, con i quali viene instaurato lo scambio (non nascerebbe un approdo se non esistesse un’area produttiva da raggiungere).
Il sistema dei percorsi e degli insediamenti si forma secondo estesi periodi temporali che corrispondono, schematicamente, ai grandi cicli della storia del territorio:

ciclo d’impianto, databile dal Paleolitico al IV sec. a.C, attraverso il quale si struttura l’intero territorio, da monte verso valle, attraverso percorsi, insediamenti, nuclei protorbani e primi nuclei urbani propriamente detti in corrispondenza dei controcrinali sintetici;

ciclo di consolidamento, databile dall’espansione romana del IV sec. a. C. al declino del IV-V sec. d. C., attraverso il quale si stabilizza la struttura già impiantata, integrata dall’organico strutturarsi dei percorsi di fondovalle e dei relativi nuclei urbani. In realtà processi analoghi e diacronici di grandi strutturazioni dei fondovalle avvengono nei maggiori bacini idrici dell’antichità, come nelle valli del Tigri-Eufrate, del Nilo, del Gange;

ciclo di recupero, individuabile nel periodo medievale tra la fine del IV-V sec. d.C. e la fine del XII sec., durante il quale si perdono le strutture di fondovalle organizzate in periodo romano e si riutilizzano e trasformano le strutture precedenti di promontorio

ciclo di ristrutturazione, corrispondente al periodo dal XIII secolo all’età contemporanea, durante il quale si riorganizzano le strutture di fondovalle parzialmente abbandonate nel ciclo di recupero, con estese opere di bonifiche.

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Fasi formative della struttura territoriale dell’Italia centrale (da AA.VV., Cortona, Struttura e territorio, Cortona 1987).

 

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Formazione del sistema delle percorrenze radiali e controradiali in relazione ai fossi della Marranella, di Gottifredi, di Centocelle a Roma sulla base della carta IGM del 1872 ( da G.Strappa, a cura di, Studi sulla periferia est di Roma, Francoangeli, Milano 2012)

4. BIBLIOGRAFIA

Testi di carattere generale:

G.Strappa (a cura di), Studi sulla periferia est di Roma, Francoangeli, Milano 2012

G.Strappa, M.Ieva, M. Dimatteo, La città come organismo. Lettura di Trani alle diverse scale, Adda, Bari 2003

G.Strappa, Unità dell’organismo architettonico, Dedalo, Bari 1995 (on line su questo sito)

F. Farinelli, I segni del mondo, Firenze 1992.

F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino 1986

G.Caniggia,G.L.Maffei, Composizione architettonica e tipologia edilizia. 1. Lettura dell’edilizia di base, pp. 203-249,  Venezia 1979.

G. Cataldi, Per una scienza del territorio. Studi e note, Firenze, 1977

Come esempi significativi di lettura di  organismi urbani particolari si possono utilmente consultare:

G.L.Maffei (a cura di),  La casa rurale in Lunigiana, Venezia 1990.

AA.VV., Cortona. Struttura e storia, Cortona 1987

G.Conti, D.Corbara, Per una lettura operante della città. L’esempio di Cesena, Firenze

IL FUTURO DEI CENTRI MINORI LAZIALI

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Intervento di riqualificazione urbana e servizi a S.Polo dei Cavalieri. Tesi di laurea di A. Bruccolerei

QUEI FIGLI DI UN DIO MINORE

di Giuseppe Strappa,  in «Corriere della Sera» del 4  agosto 2013

Se si superano le ultime, terribili borgate intorno a Roma, dove la periferia compatta si trasforma in un pulviscolo insensato di edifici che si affollano uno accanto all’altro, comincia ad apparire una campagna ancora decorosamente coltivata. Emerge, sullo sfondo dei campi, la sagoma di paesi che sembrano provenire dal passato, isolati da valloni alberati nei quali scorrono corsi d’acqua. Microcosmi urbani dall’architettura familiare che non sembrano coinvolti nel naufragio del territorio, appartati come sono sui crinali dei Monti Ernici, Simbruini, Sabini.

Eppure, entrando tra le mura cariche di storia, ci si accorge della loro progressiva rovina, della vita che da qui sembra fuggire e disperdersi. A volte è un nuovo melting pot etnico e sociale, per fortuna, a ripopolare le case affittate a basso costo, a integrare una popolazione composta ormai soprattutto da anziani. Ma dovunque l’abbandono sembra rallentato solo dalle “seconde case”, antiche abitazioni spesso oggetto di alterazioni striscianti, continue, incontrollate, che finiscono per stravolgerne il senso e la forma.

Per questi “centri minori” non sembra esserci, in realtà, futuro.

Ci si chiede, tuttavia, come sia possibile che si preferisca vivere nel mezzo di un dissennato sprawl urbano di casette, palazzine, capannoni cresciuti senza ordine, piuttosto che abitare poco oltre, in questi luoghi dove le piazze sono ancora belle, l’aria buona e i figli potrebbero crescere lontano dal caos e dall’inquinamento.

Le risposte sono sempre le stesse: la distanza da Roma e dal posto di lavoro dilatata dall’inefficienza dei trasporti; la carenza di servizi moderni, ritenuti incompatibili con la tutela dell’edilizia storica.

Proprio in tempo di crisi, credo che varrebbe la pena investire (molto) per risolvere questi problemi. Si dovrebbe capire che i centri minori sono una grande risorsa che permetterebbe di decongestionare la Capitale, fornire abitazioni a basso costo, conservare un patrimonio storico prezioso, permettere, soprattutto, un ambiente di vita migliore. Senza ulteriore consumo di territorio.

I paesi laziali potrebbero essere le nostre new town, le nuove smart cities di una cultura che ha sempre prodotto città intelligenti, oltre che bellissime. Una svolta antropica che potrebbe muovere una nuova economia, alimentata da piani di accessibilità (scale mobili, ascensori urbani), nuove tecnologie, moderne infrastrutture ferroviarie che leghino in rete i nodi del territorio, come avviene nell’hinterland delle grandi città europee.

Va trovato, anche, un nuovo modello di tutela dell’edilizia storica perché il problema non è solo la sua conservazione inerte, come in un museo. Occorre individuare trasformazioni “congruenti”, basate sul dato innegabile che una città, come ogni organismo vivente, deve trasformarsi di continuo per sopravvivere.

E’ proprio necessario, ad esempio, costruire nuovi municipi, o servizi pubblici al di fuori dei centri storici, svuotandoli di vita? Gli edifici più rilevanti sono sempre nati, nella città italiana, da trasformazioni, dalla fusione sapiente di edifici riuniti a formare palazzi e conventi. Non si potrebbe continuare questo processo, con attenzione alla storia ma anche alle domande della vita contemporanea?