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U+D n.20 TERRITORIO E CITTA’ – Editoriale

 Leggere il territorio.
Prendersi cura del territorio

Giuseppe Strappa

Una riflessione responsabile sulla trasformazione della nozione di territorio, credo, dovrebbe oggi tener conto due condizioni fondamentali.
La prima è la percezione sincronica che abbiamo del mondo costruito, in un contesto dominato dal presente. Percorsi, insediamenti, aree produttive, fanno tutti parte di uno stesso ambiente contemporaneo, le cui ragioni formative sembrano appartenere a un insieme di problemi distanti dalla vita reale. In questa compresenza di tutte le cose, le città coesistono, indistinte, col loro hinterland, col territorio che le circonda e che dovrebbe spiegarle, con le infrastrutture che le annodano.
Sulla constatazione che città e territorio siano, di fatto, la stessa cosa si è sviluppata un’intera letteratura, almeno a partire dall’idea proposta da La città in estensione di Giuseppe Samonà (1976). Punto di vista allora senz’altro utile, ma oggi inattuale per non tener conto della progressiva urbanizzazione di ogni area del nostro pianeta (con le relative polarizzazioni e marginalizzazioni) che forse è la vera chiave di lettura di un fenomeno di concentrazione che sembra contraddire i miti della delocalizzazione in un nuovo universo digitale.
Soprattutto, questa nuova visione sincronica della realtà costruita sembra del tutto estranea alla lettura del divenire storico del territorio. Lettura, ritengo, fondamentale e non eludibile, a partire dalla considerazione elementare che ogni fenomeno si spiega con la sua origine e trasformazione: prima l’uomo si
muove, cammina, migra, traversa crinali e fondovalle di luoghi dei quali acquista coscienza attraverso la reiterazione dei percorsi, quindi si ferma, stabilisce le aree di pertinenza di una comunità (aree culturali) e costruisce gli insediamenti.

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U+D 20 Editoriale Strappa

 

 

 

 

Marcello Sestito – Grammatiche terrestri – Territorial grammars

in U+D Urbanform and Design  n.19

 

L’occhio alato di Leon Battista Alberti
“Il sale affermò di non voler risiedere nello stesso posto del ghiaccio, per quanto entrambi fossero nati da medesima madre; dichiarò di fatto che non intendeva porgere l’occasione per farsi rovinare dalla sua inconsistenza e mollezza”.
Leon Battista Alberti, Apologhi

Quando Leon Battista Alberti dovette decidere come raffigurare il suo pensiero, il “Quid Tum”, se non proprio il suo essere, raffigurò un occhio alato, un occhio sostenuto in volo da due ali leggermente scostate in grado di trasportare la visione nello spazio, oltre le limitate e quotidiane abitudini terrestri e
pertanto garantirsi quella visione satellitare che l’uomo avrebbe conquistato solo dopo 600 anni. Certo non sono mancati i pionieri dello sguardo alato: dal mito di Er nella Repubblica di Platone a La Storia vera di Luciano di Samosata fino al Somnium Scipionis a lungo attribuito a Cicerone, per finire, o quasi, con La storia degli stati del Sole e della Luna di Cirano de Bergerac.
Quello che ci preme chiarire in tale contesto è come questo sguardo abbia potuto cooptare scenari inediti per l’architettura, come la complessità dell’ecumene si sia impressa nello sguardo dell’architetto e di come egli ne abbia saputo cogliere inediti spunti o atteggiamenti progettuali.

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Nicola Scardigno – Forma in divenire

 

NICOLA SCARDIGNO

FORMA IN  DIVENIRE

Un pensiero critico e una conversazione
con Giuseppe Strappa

Prefazione di Jörg Gleiter
Postfazione di Matteo Ieva

INDICE
PREFAZIONE di Jörg Gleiter
SPAZIO O ARTE DELLA DELIMITAZIONE
CONVERSAZIONE CON GIUSEPPE STRAPPA
Parte 1 – Il progetto come processo circolare
Parte 2 – Didattica come “Architettura insegnata”
GIUSEPPE STRAPPA: POETICA DELL’EPOCHÈ E
FORMATIVITÀ DELL’ARCHITETTURA
Postfazione di Matteo Ieva