Leggere il territorio.
Prendersi cura del territorio
Giuseppe Strappa
Una riflessione responsabile sulla trasformazione della nozione di territorio, credo, dovrebbe oggi tener conto due condizioni fondamentali.
La prima è la percezione sincronica che abbiamo del mondo costruito, in un contesto dominato dal presente. Percorsi, insediamenti, aree produttive, fanno tutti parte di uno stesso ambiente contemporaneo, le cui ragioni formative sembrano appartenere a un insieme di problemi distanti dalla vita reale. In questa compresenza di tutte le cose, le città coesistono, indistinte, col loro hinterland, col territorio che le circonda e che dovrebbe spiegarle, con le infrastrutture che le annodano.
Sulla constatazione che città e territorio siano, di fatto, la stessa cosa si è sviluppata un’intera letteratura, almeno a partire dall’idea proposta da La città in estensione di Giuseppe Samonà (1976). Punto di vista allora senz’altro utile, ma oggi inattuale per non tener conto della progressiva urbanizzazione di ogni area del nostro pianeta (con le relative polarizzazioni e marginalizzazioni) che forse è la vera chiave di lettura di un fenomeno di concentrazione che sembra contraddire i miti della delocalizzazione in un nuovo universo digitale.
Soprattutto, questa nuova visione sincronica della realtà costruita sembra del tutto estranea alla lettura del divenire storico del territorio. Lettura, ritengo, fondamentale e non eludibile, a partire dalla considerazione elementare che ogni fenomeno si spiega con la sua origine e trasformazione: prima l’uomo si
muove, cammina, migra, traversa crinali e fondovalle di luoghi dei quali acquista coscienza attraverso la reiterazione dei percorsi, quindi si ferma, stabilisce le aree di pertinenza di una comunità (aree culturali) e costruisce gli insediamenti.
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