Category Archives: saggi e articoli
CONFERENZA DI FRANCO PURINI, TRE SAPERI PER L’ARCHITETTURA
Università di Roma “Sapienza”, Dipartimento DIAP, Draco Dottorato in Architettura e Costruzione.
Ciclo di incontri “Il nucleo scientifico delle discipline di progetto”.
Franco Purini “Tre saperi per l’architettura”
introduce Giuseppe Strappa, coordinatore del dottorato DRACO
Facoltà di Architettura, sede di via Gramsci, aula Fiorentino, martedì 28 Gennaio 2014, ore 16.30
organizzazione e progetto grafico Pina Ciotoli
Conferenza di Francesco Rispoli, L’immagine scientifica del progetto di architettura
Università di Roma “Sapienza”, Diparimento DIAP, DRACO Dottorato in Architettura e Costruzione
Ciclo di incontri “Il nucleo scientifico delle discipline di progetto”
Francesco Rispoli “L’immagine scientifica del progetto di architettura”
Introduce Giuseppe Strappa, coordinatore del dottorato DRACO
Facoltà di Architettura, sede di Via Gramsci, aula Fiorentino, martedì 21 gennaio 2014. ore 16.00
organizzazione Alessandro Camiz, progetto grafico Pina Ciotoli
L’ESTETICA DELLO SPRECO
di Giuseppe Strappa
in «Corriere della Sera» del 6 gennaio 2014
Come mai una collana di architettura pubblicata da un grande quotidiano si chiama Artisti che lasciano il segno nel mondo? In una recente conferenza, il nuovo direttore della storica rivista Domus, Nicola Di Battista, rispondeva che è quello che il pubblico vuole: tinte forti, geni, magie. L?ostentato ego architettonico esibito dalle più note opere contemporanee coincide, in realtà, con l?immagine che le società affluenti vogliono dare della propria ricchezza, della capacità di realizzare opere preziose e complicate, di costruirle rapidamente, di mantenerle in modo esemplare.Credo che in questo quadro di competizione globale vada inserito il disastro della Città dello Sport di Tor Vergata, se si vuole capirne alcune contraddizioni di fondo. Il semplice progetto iniziale della Siit prevedeva una spesa di 120 milioni di euro. Rielaborato più volte dall?archistar Santiago Calatrava, il progetto raggiungeva la gigantesca cifra di 608 milioni di euro prima che il governo Monti ne frustrasse le velleità olimpiche.Le semplici ed economiche strutture iniziali si erano dilatate, trasformate in un sofisticato virtuosismo geometrico, tanto piene di armature da richiedere calcestruzzi speciali, casseri a tenuta stagna. Le coperture si erano trasformate in faraoniche vele dalle complesse trame d?acciaio e vetro che sembrano studiate per disperdere energia e far spendere una fortuna di manutenzione. Un inno allo spreco. Ora, dopo centinaia di milioni spesi, un ennesimo tavolo tecnico manifesta «la volontà di recuperare la struttura per le sue finalità pubbliche». Come se si trattasse di un rudere.Si potrebbe discutere a lungo su questa strada estetizzante che l?architettura ha intrapreso da decenni e sui segni del suo ormai evidente declino. Ma questa catastrofe annunciata dovrebbe farci chiedere se è proprio necessario che una città piena di problemi come la nostra debba seguire la corsa al gesto spettacolare, alle forme irripetibili che occupano per qualche giorno le pagine dei giornali e lasciano le finanze di interi paesi (come la Grecia delle Olimpiadi) in condizioni disastrate.Una capitale moderna, è vero, deve saper costruire grandi opere. Ma viene alla mente la nobile tradizione romana del «minimo strutturale» di Sergio Musmeci o delle grandi opere di Pier Luigi Nervi e Riccardo Morandi, tanto rigorose da far coincidere, in un?unica sintesi costruttiva, logica, economia e bellezza. Facendo di necessità virtù, Roma dovrebbe cogliere queste occasioni per indicare una via diversa: come si possano costruire, contro le architetture del lusso e della dissipazione che spuntano dovunque, opere autenticamente contemporanee che esprimano l?etica condivisa del buon uso delle risorse.Eppure si continua a giustificare spese enormi e cantieri infiniti con le ragioni dell?espressione artistica. Certo, se il non finito è una delle forme dell?arte moderna che testimonia un mondo in trasformazione, i cantieri romani sono il cuore autentico della modernità. Riflettano su questo gli abitanti e gli studenti di Tor Vergata che si aspettavano solo delle belle, civili strutture dove praticare lo sport.©
GRAFFITI & RIPULITURE
Ripuliture dell’Ama a Campo de Fiori
di Giuseppe Strappa
in «Corriere della Sera» del 9 dicembre 2013
Piazza dei Librari, una mattina di sole.
Seduto al tavolo del bar osservo le pareti sopra la sede storica del PD romano, le sfumature luminose degli intonaci, le tonalità degli ocra, i gradi delle terre sulla trama delle facciate. Più in basso, al piano terreno, si snoda invece un variegato patchwork di rappezzi cui si sono sovrapposte le scritte della recente dimostrazione. Una squadra dell’Ama sta provvedendo a stendervi sopra una mano di vernice. Mischiano tinte, pennellano.
Milù, la mia cagnetta, li guarda affascinata. Da qualche tempo la Municipalizzata ha organizzato un servizio di ripulitura delle scritte nel centro storico per coprire lo spray di graffiti, backjump, frasi, tag ossessivi. Qualcuno osserva che a fare danno alle facciate di Campo de Fiori non sono tanto le dimostrazioni, inconveniente passeggero, ma l’accanimento continuo dei “graffitari”. Come possono non rendersi conto che la stessa cosa fatta a New York o nel centro di Roma ha un senso opposto? Che un luogo è un linguaggio, come diceva Manganelli? Che quello che lì è espressione di libertà estetica, qui è solo stupidità insensata? Viva l’Ama, dunque, della gloriosa, duplice lotta contro il degrado e contro il provincialismo!
Ma il vero problema è che il rimedio è peggiore del male: le strade “ripristinate” si vanno in realtà contornando di bizzarre fasce estemporanee, rappezzi dipinti in giallo, grigio cenere, zafferano, arancione, secondo l’estro momentaneo, si direbbe, dell’autore. Forse servirebbe, almeno, qualche decente corso di formazione.
Intanto arrivano i cappuccini di Saverio, fumanti, professionali, con la schiuma dosata al punto giusto.
E la conversazione si ravviva. Bisogna trasformare il danno in risorsa. Il problema del vandalismo grafico è un fenomeno dilagante, comune a tutti i centri storici: si potrebbe inventare una scienza della manutenzione diffusa, sviluppare una tecnologia ad hoc e magari esportarla.
Roma possiede, in questo, un know how particolare: potrebbe riversare le sofisticate conoscenze delle sue scuole di restauro nella cura diffusa dell’ambiente urbano, alimentare una vera e propria nicchia produttiva con molteplici indotti. Oggi si vendono sistemi, non oggetti. Si parla di come si potrebbero leggere gli intonaci con scanner dedicati, di computer che traducono i dati in codici RGB , di centraline che miscelano le vernici in tempo reale. Si potrebbe…
Tra un cornetto e un sorso di caffè, si sogna che la via romana alla modernità passi attraverso la redenzione della Grande Municipalizzata.
Ma la colazione è finita e si torna alla realtà.
Mi avvio al lavoro. All’angolo della strada incontro i sacchi della raccolta differenziata. Milù annusa e mi guarda sarcastica. Dopo anni, l’Ama ancora non è riuscita a risolvere questi ingorghi di spazzatura. Penso a Istanbul. Lì gli abitanti gettano i rifiuti in invisibili contenitori immersi sotto le strade e alle sei di mattina un camion li solleva e li svuota. Non siamo nemmeno capaci di importare un sistema come quello, semplice, di buon senso. Altro che esportare tecnologia!