Category Archives: saggi e articoli

una rivincita per corviale – un film e una storia vera

di Giuseppe Strappa

in Corriere della Sera del 25 novembre 2014

Pochissime donne occupano un posto di rilievo nella storia dell’architettura.
Lasciamo stare i tanti secoli maschilisti, quelli delle arti liberali riservate agli uomini; neanche nel Novecento, quando pure in altre discipline qualche donna riusciva a spuntarla, sono emerse importanti figure di architetto al femminile.
Bisogna arrivare all’astro di Zaha Hadid per avere un nome illustre. Isolato, peraltro: mentre nelle scuole di architettura, in tutti paesi, gran parte degli studenti sono donne, gli architetti che guidano studi importanti e aprono grandi cantieri sono di solito maschi. Nel mondo poliedrico dell’architettura, in apparenza aperto e privo di prevenzioni, alla donna è riservato il campo dell’arredamento, della moda, dell’insegnamento. Con l’inconfessabile pregiudizio che si tratti di settori a minor rischio.
Un problema che un film appena uscito, Scusate se esisto , ripropone con leggerezza, raccontando la storia di Serena, donna architetto coraggiosa che lavora a Roma e sogna di rendere più umano il Corviale trasformando il piano libero in uno spazio per aggregazione e incontri.
Pur con le semplificazioni di ogni commedia, il film ci dice sommessamente alcune verità: come, dopo tante lotte per la parità di genere e sesso, le discriminazioni sembrano restare immutabili; come non sia terminato il compito della donna (provato da tante coppie storiche) di oscuro artefice delle fortune del collega-padrone.
Nella commedia tutto si compone, si rasserena, diviene amabile. Nella vita meno. Il film è ispirato a un personaggio reale, Guendalina Salimei, architetto romano e docente di progettazione che davvero ha vinto, nel 2009, un concorso per la ristrutturazione del Corviale. Un “chilometro verde” progettato per convertire gli spazi occupati abusivamente in nuovi servizi pubblici tenendo conto del processo di auto-organizzazione avvenuto attraverso l’uso spontaneo delle strutture. Inutile dire che, a distanza di cinque anni, quel progetto non è ancora stato eseguito.
Guendalina é un architetto anticonformista che progetta e insegna quello che impara dall’esperienza in un tempo in cui le carriere accademiche si costruiscono spesso a tavolino, scrutando futuri criteri bibliometrici, studiando ranking e meccanismi di concorso.
Uscita con le ossa rotte dalla guerra per bande della valutazione universitaria nazionale, Guendalina rialza la testa, vince il concorso per Dao Viet Eco City, nuova Venezia vietnamita da costruire sulla baia di Holong, impiegando materiali locali e soluzioni low-tech, con emissioni ridotte e zero rifiuti.
Ora si prende anche la piccola rivincita mediatica di un film che parla del suo lavoro, del difficile ruolo di donna architetto nell’età del postfemminismo, impegnata nell’arte di sopravvivere nel mondo selvaggio della crisi dell’economia e dei valori.

convegno morfologia urbana e progetto – 6 novembre

Bassa definiz. poster UM 6 novembre

link alla locandina del convegno di fondazione dell’ Isuf Italy  : 2007 ISUF ITALY fondazione

La morfologia è lo studio della forma come aspetto visibile di una struttura. Forma come formazione che presuppone un processo formativo conoscibile e razionalmente indagabile come strumento di progetto. La stessa forma può essere riguardata, sotto questo aspetto, come organismo, e come tale considerata formata e formante, con proprie leggi interne che legano le parti in unità. Per l’architetto l’uso della morfologia, ritengo, è molto importante: significa leggere il territorio come architettura, studiarne la forma come organismo territoriale dove le parti si legano in rapporto di necessità. Considerare il paesaggio non solo nei suoi aspetti legati alla percezione, ma come aspetto visibile delle strutture territoriali. Lo stesso vale per l’organismo urbano e i tessuti: la città come processo di trasformazione, forma in continuo divenire. E gli stessi edifici possono essere considerati come organismi edilizi, dove la forma attuale deriva da un processo di trasformazione dalla materia al materiale, agli elementi, alle strutture,  all’organismo. La forma dell’architettura che percepiamo è, dunque, solo un provvisorio momento di equilibrio all’interno di questo flusso continuo di trasformazioni.

LA MODERNITA’ NEL CENTRO STORICO DI ROMA

La via romana alla modernità
di Giuseppe Strappa

Che la città storica non possa essere messa sotto formalina (dichiarazione d’autore riportata nei giorni scorsi su queste pagine) è un’affermazione insieme scontata e pericolosa, come tutte le cose troppo ovvie.
E’ evidente che una città non possa rimanere immobile, che si trasformi insieme all’imprevedibile fluire della vita che vi scorre. Ma il rischio è costituito dai modi e dai luoghi della trasformazione.  Perché un’architettura che non nasca, ad esempio, dalla soluzione di problemi reali (anche formali, anche di risistemazione) finisce per essere inevitabilmente estetizzante e inutile.
Per questo, per il costoso insegnamento che la vicenda può fornire, credo che occorra riflettere anche oggi, a lavori iniziati, su come l’intervento “dimostrativo” di Meier all’Ara Pacis non costituisca certamente per la nostra città, dove pure i problemi non mancano, una necessità.
Come pure non risponde a reali priorità, occorre dirlo con chiarezza, quell’ansia di revisione delle sistemazioni operate tra le due guerre che rischia di innescare una catena di demolizioni insensate ed inutili, da quelle proposte per gli edifici di Ballio Morpurgo intorno a piazza Augusto Imperatore a quelle dei Fori Imperiali.
Non mancano, non solo nella città consolidata, all’Esquilino, al Testaccio, ma perfino all’interno del tessuto più antico (si pensi al relitto urbano di piazza della Moretta), aree e luoghi irrisolti nei quali nuove trasformazioni risponderebbero a necessità reali.
Trasformazioni la cui architettura,  il soprintendente La Regina ci ha ricordato ieri, dovrà essere contemporanea e “di qualità”. Preoccupazione sacrosanta, se solo si riuscisse ad intenderci sul significato di questi termini, elastici e vaghi, con i quali ognuno sembra voler risolvere a suo modo i problemi. E forse è appena il caso di ricordare che quelle dissonanze che La Regina ritiene inadatte al contesto antico, sono la materia stessa della quale si nutre l’architettura che le riviste alla moda vanno divulgando come esemplari.
Non a caso, su queste pagine, Jean Nouvel ci ha indicato a modello (“le città si costruiscono così”) la sua Opera di Lione, un edificio nuovissimo e “molto aggressivo” che dell’antico ha conservato solo le quattro facciate. Mi chiedo se questa è la modernità che vogliamo per Roma, un compromesso che svuota l’organismo architettonico ereditato salvando la coscienza e la pelle dell’edificio.
Quella che Nouvel propone ai suoi epigoni è, in realtà, una modernità fondata  sull’individualità, sulla rapida sostituzione, sulla competizione tra forme in conflitto: un universo di meteoriti formatesi nei centri di sperimentazioni della metropoli nordeuropea e americana dove, per dirla con Berman, “tutto quello che è solido si dissolve nell’aria”.
La via romana alla modernità è meno omologabile: passa per la continuità, la comprensione, la tutela del patrimonio storico ereditato. Il quale, come ci hanno insegnato i grandi architetti moderni romani del passato (i Libera, i De Renzi, i Ridolfi), non è ostacolo alla libertà d’espressione, né oggetto d’imitazione, né fondale all’invenzione, ma la linfa vitale del nuovo.

INTERVENTO SPERIMENTALE ECOCOMPATIBILE A LUNGHEZZA.

di Giuseppe Strappa

L’imminente inizio dei lavori per un intervento di abitazioni sperimentali a Lunghezza che prevede, primo caso nell’Italia centrale, sistemi bioclimatici ed ecocompatibili è una buona notizia per cominciare con ottimismo il nuovo anno. Soluzioni tecnologiche avanzate dovrebbero permettere ai nuovi edifici di evitare sprechi ridistribuendo nel tempo il calore raccolto dai “muri solari”, recuperare, trattandola, l’acqua piovana, riciclare i rifiuti. Come in un processo di ritorno artificiale allo stato di natura, piccole serre e torri di ventilazione li disporranno ad accumulare o disperdere energia termica secondo il variare delle stagioni.
Dagli edifici, disegnati dal bavarese Thomas Herzog e dal romano Fabrizio Tucci, non ci si aspettano miracoli, certo, ma che facciano la loro parte nel tentativo di non dilapidare le risorse del nostro piccolo pianeta, unendosi allo sforzo collettivo che da anni coinvolge molte città europee.
Il Comune di Roma ha in programma, peraltro,
di estendere analoghe soluzioni per il risparmio energetico all’intero piano per l’emergenza abitativa attraverso le norme di un “codice di pratica” elaborato dalla Facoltà d’Architettura di Valle Giulia e appena adottato.
Ma c’è di più. L’esperimento di Lunghezza tenta di addomesticare le novità, di mostrarle all’esterno con discrezione, componendo  parsimoniose facciate regolate dalla geometria leggera delle lamelle che si aprono di giorno e si chiudono di notte. Senza averne l’aria, impartisce così una piccola lezione di etica architettonica concedendo ben poco alla  retorica tecnologica e non cedendo alla consueta tentazione di ostentare le innovazioni. Propone agli abitanti, al contrario, le nuove soluzioni come aggiornamenti, come sottili modifiche di forme quotidiane. Non è poco, oggi. Anzi, di fronte alla drammaticità gratuita di tanta architettura, l’immagine originale e composta di queste nuove case che sorgono con civile dignità ai margini della città che cambia, sembra una bella cartolina di auguri per la periferia romana.