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INTERVENTO SPERIMENTALE ECOCOMPATIBILE A LUNGHEZZA.

di Giuseppe Strappa

L’imminente inizio dei lavori per un intervento di abitazioni sperimentali a Lunghezza che prevede, primo caso nell’Italia centrale, sistemi bioclimatici ed ecocompatibili è una buona notizia per cominciare con ottimismo il nuovo anno. Soluzioni tecnologiche avanzate dovrebbero permettere ai nuovi edifici di evitare sprechi ridistribuendo nel tempo il calore raccolto dai “muri solari”, recuperare, trattandola, l’acqua piovana, riciclare i rifiuti. Come in un processo di ritorno artificiale allo stato di natura, piccole serre e torri di ventilazione li disporranno ad accumulare o disperdere energia termica secondo il variare delle stagioni.
Dagli edifici, disegnati dal bavarese Thomas Herzog e dal romano Fabrizio Tucci, non ci si aspettano miracoli, certo, ma che facciano la loro parte nel tentativo di non dilapidare le risorse del nostro piccolo pianeta, unendosi allo sforzo collettivo che da anni coinvolge molte città europee.
Il Comune di Roma ha in programma, peraltro,
di estendere analoghe soluzioni per il risparmio energetico all’intero piano per l’emergenza abitativa attraverso le norme di un “codice di pratica” elaborato dalla Facoltà d’Architettura di Valle Giulia e appena adottato.
Ma c’è di più. L’esperimento di Lunghezza tenta di addomesticare le novità, di mostrarle all’esterno con discrezione, componendo  parsimoniose facciate regolate dalla geometria leggera delle lamelle che si aprono di giorno e si chiudono di notte. Senza averne l’aria, impartisce così una piccola lezione di etica architettonica concedendo ben poco alla  retorica tecnologica e non cedendo alla consueta tentazione di ostentare le innovazioni. Propone agli abitanti, al contrario, le nuove soluzioni come aggiornamenti, come sottili modifiche di forme quotidiane. Non è poco, oggi. Anzi, di fronte alla drammaticità gratuita di tanta architettura, l’immagine originale e composta di queste nuove case che sorgono con civile dignità ai margini della città che cambia, sembra una bella cartolina di auguri per la periferia romana.

LA MODERNITA’ NEL CENTRO STORICO DI ROMA

La via romana alla modernità
di Giuseppe Strappa

Che la città storica non possa essere messa sotto formalina (dichiarazione d’autore riportata nei giorni scorsi su queste pagine) è un’affermazione insieme scontata e pericolosa, come tutte le cose troppo ovvie.
E’ evidente che una città non possa rimanere immobile, che si trasformi insieme all’imprevedibile fluire della vita che vi scorre. Ma il rischio è costituito dai modi e dai luoghi della trasformazione.  Perché un’architettura che non nasca, ad esempio, dalla soluzione di problemi reali (anche formali, anche di risistemazione) finisce per essere inevitabilmente estetizzante e inutile.
Per questo, per il costoso insegnamento che la vicenda può fornire, credo che occorra riflettere anche oggi, a lavori iniziati, su come l’intervento “dimostrativo” di Meier all’Ara Pacis non costituisca certamente per la nostra città, dove pure i problemi non mancano, una necessità.
Come pure non risponde a reali priorità, occorre dirlo con chiarezza, quell’ansia di revisione delle sistemazioni operate tra le due guerre che rischia di innescare una catena di demolizioni insensate ed inutili, da quelle proposte per gli edifici di Ballio Morpurgo intorno a piazza Augusto Imperatore a quelle dei Fori Imperiali.
Non mancano, non solo nella città consolidata, all’Esquilino, al Testaccio, ma perfino all’interno del tessuto più antico (si pensi al relitto urbano di piazza della Moretta), aree e luoghi irrisolti nei quali nuove trasformazioni risponderebbero a necessità reali.
Trasformazioni la cui architettura,  il soprintendente La Regina ci ha ricordato ieri, dovrà essere contemporanea e “di qualità”. Preoccupazione sacrosanta, se solo si riuscisse ad intenderci sul significato di questi termini, elastici e vaghi, con i quali ognuno sembra voler risolvere a suo modo i problemi. E forse è appena il caso di ricordare che quelle dissonanze che La Regina ritiene inadatte al contesto antico, sono la materia stessa della quale si nutre l’architettura che le riviste alla moda vanno divulgando come esemplari.
Non a caso, su queste pagine, Jean Nouvel ci ha indicato a modello (“le città si costruiscono così”) la sua Opera di Lione, un edificio nuovissimo e “molto aggressivo” che dell’antico ha conservato solo le quattro facciate. Mi chiedo se questa è la modernità che vogliamo per Roma, un compromesso che svuota l’organismo architettonico ereditato salvando la coscienza e la pelle dell’edificio.
Quella che Nouvel propone ai suoi epigoni è, in realtà, una modernità fondata  sull’individualità, sulla rapida sostituzione, sulla competizione tra forme in conflitto: un universo di meteoriti formatesi nei centri di sperimentazioni della metropoli nordeuropea e americana dove, per dirla con Berman, “tutto quello che è solido si dissolve nell’aria”.
La via romana alla modernità è meno omologabile: passa per la continuità, la comprensione, la tutela del patrimonio storico ereditato. Il quale, come ci hanno insegnato i grandi architetti moderni romani del passato (i Libera, i De Renzi, i Ridolfi), non è ostacolo alla libertà d’espressione, né oggetto d’imitazione, né fondale all’invenzione, ma la linfa vitale del nuovo.

GRAFFITI & RIPULITURE

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Ripuliture dell’Ama a Campo de Fiori

di Giuseppe Strappa

in «Corriere della Sera» del 9  dicembre 2013

Piazza dei Librari, una mattina di sole.

Seduto al tavolo del bar osservo le pareti sopra la sede storica del PD romano, le sfumature luminose degli intonaci, le tonalità degli ocra, i gradi delle terre sulla trama delle facciate. Più in basso, al piano terreno, si snoda invece un variegato patchwork di rappezzi cui si sono sovrapposte le scritte della recente dimostrazione.  Una squadra dell’Ama sta provvedendo a stendervi sopra una mano di vernice. Mischiano tinte, pennellano.

Milù, la mia cagnetta, li guarda affascinata.  Da qualche tempo la Municipalizzata ha organizzato un servizio di ripulitura delle scritte nel centro storico per coprire lo spray di graffiti, backjump, frasi, tag ossessivi.  Qualcuno osserva che a fare danno alle facciate di Campo de Fiori non sono tanto le dimostrazioni, inconveniente passeggero, ma  l’accanimento continuo dei “graffitari”. Come possono non rendersi conto che la stessa cosa fatta a New York o nel centro di Roma ha un senso opposto?  Che un luogo è un linguaggio, come diceva Manganelli?  Che quello che lì è espressione di libertà estetica, qui è solo stupidità insensata?  Viva l’Ama, dunque, della gloriosa, duplice lotta contro il degrado e contro il provincialismo!

Ma il vero problema è che il rimedio è peggiore del male: le strade “ripristinate” si vanno in realtà contornando di bizzarre fasce estemporanee, rappezzi dipinti in giallo, grigio cenere, zafferano, arancione, secondo l’estro momentaneo, si direbbe, dell’autore. Forse servirebbe, almeno, qualche decente corso di formazione.

Intanto arrivano i cappuccini di Saverio, fumanti, professionali, con la schiuma dosata al punto giusto.

E la conversazione si ravviva.  Bisogna trasformare il danno in risorsa.  Il problema del vandalismo grafico è un fenomeno dilagante, comune a tutti i centri storici: si potrebbe inventare una scienza della manutenzione diffusa, sviluppare una tecnologia ad hoc e magari esportarla.

Roma possiede, in questo, un know how particolare: potrebbe riversare le sofisticate conoscenze delle sue scuole di restauro nella cura diffusa dell’ambiente urbano, alimentare una vera e propria nicchia produttiva con molteplici indotti. Oggi si vendono sistemi, non oggetti.  Si parla di come si potrebbero leggere gli intonaci con scanner dedicati, di computer che traducono i dati in codici RGB , di centraline che miscelano le vernici in tempo reale.  Si potrebbe…

Tra un cornetto e un sorso di caffè, si sogna che la via romana alla modernità passi attraverso la redenzione della Grande Municipalizzata.

Ma la colazione è finita e si torna alla realtà.

Mi avvio al lavoro. All’angolo della strada incontro i sacchi della raccolta differenziata.  Milù annusa e mi guarda sarcastica.  Dopo anni, l’Ama ancora non è riuscita a risolvere questi ingorghi di spazzatura. Penso a Istanbul. Lì gli abitanti gettano i rifiuti in invisibili contenitori immersi sotto le strade e alle sei di mattina un camion li solleva e li svuota.  Non siamo nemmeno capaci di importare un sistema come quello, semplice, di buon senso.  Altro che esportare tecnologia!

Esami dicembre proff. Strappa, Spirito

L’esame di Teorie dell’architettura contemporanea (proff. G. Strappa, G. Spirito)
si svolgerà martedì 17 dicembre alle 10.00 nella sede di Valle Giulia, aula 2

Gli esami degli altri corsi del prof. G. Strappa
si terranno sempre
martedì 17  dicembre dalle 10,00 nella sede di Valle Giulia, aula 2

per sostenere l’esame occorre fare prima una revisione di approviazione del progetto con assistente e professore con tutte le tavole stampate (preesame), per registrarsi sul portale INFOSTUD

https://stud.infostud.uniroma1.it
si raccomanda per l’esame di leggere il libro del professore.

si ricorda di portare all’esame il book/le tavole di tutte le esercitazioni e degli schizzi preparatori e di consegnare, per una eventuale mostra dei lavori, un DVD o CD ROM contenente tutte le tavole d’esame in formato JPEG rgb a colori (300 dpi) e scrivendo sulla copertina il proprio nome, corso, seminario, titolo progetto, email e telefono.