progettisti: Giuseppe Strappa (capogruppo), Matteo Ieva, Carmine Robbe
Nell’ambito del ciclo di incontri letterari
“I Giovedì di Santa Marta”
giovedì 5 maggio alle ore 17.30 presso la Sala Convegni Santa Marta,
Piazza del Collegio Romano 5,
Roma presentazione del volume
La conservazione dei centri storici in zona sismica
Un metodo operativo di restauro urbano
di Giuseppe Scalora – Giorgio Monti
presentazione di Giovanni Carbonara
Academia Universa Press, 2010
introduce e coordina Roberto Cecchi
saluti di Giovanni Carbonara
intervengono Luis Decanini, Giuseppe Strappa, Manuel Vaquero Piñeiro
saranno presenti gli autori
Questo volume intende offrire un apporto teorico-scientifico alla costruzione di un metodo operativo per il restauro della città storica.
Il valore della città non risiede, infatti, unicamente nei suoi monumenti di architettura, ma si esprime soprattutto nella vitalità dei suoi tessuti urbani, specie quelli che – come il quartiere di S. Giacomo ad Ascoli Piceno – con le loro strade, le loro piazze, i cortili e gli orti, esprimono un‟atmosfera fisica e psicologica singolare ed irripetibile.
Le politiche di recupero non possono riguardare esclusivamente i singoli edifici, o i singoli monumenti, ma devono svilupparsi affrontando nella dimensione estetica i temi della pianificazione della città e della riqualificazione ambientale, controllando/misurando le relazioni tra le nuove funzioni e quelle preesistenti.
Il fine ultimo della pianificazione è, quindi, quello di rivelare l‟identità del sito e di preservare i caratteri specifici di lunga durata della forma, garantendone la conservazione fisica attraverso modalità di restauro critico-conservativo e, dove necessario, di miglioramento sismico.
Nel trattare i centri storici, l‟interesse primario consiste, dunque, nel mantenere e nel trasmettere alle future generazioni nella loro autenticità forme, figure, materiali, aggregati, tipi, percorsi, essenzialmente un patrimonio culturale di valore.
Piuttosto che vincolare e vietare, il metodo sviluppato – ed illustrato nel volume – preferisce proporre, guidare e indirizzare, lasciando ai progettisti le responsabilità e i margini di scelta, pur ricondotti su precisi binari storico-critici. Esso insiste sulla interpretazione del sistema complessivo e sullo sviluppo di criteri metodologici capaci di garantire precise regole di comportamento per gli interventi alle diverse scale. In altre parole, si indica una “strategia macroprogettuale” che possa, tramite un sistema di “regole prescrittive e di criteri prestazionali”, declinarsi caso per caso quale specifico “microprogetto edilizio”.
Tale interpretazione mira a stabilire i livelli di „trasformabilità‟ che variano, secondo le circostanze, dalla conservazione alla trasformazione, dalla riqualificazione alla nuova costruzione e, persino, alla demolizione, e propone guide e norme figurate, di semplice assimilazione da parte dei singoli professionisti incaricati.
Il metodo collima con la teoria del restauro, fondata sulla cautela e la consapevolezza, e indica verso quale direzione tale trasformazione debba orientarsi. Una trasformazione, quindi, e non un impossibile congelamento sine die, con finalità culturalmente e scientemente conservative, legata al mantenimento della vitalità intrinseca al tessute edilizio storico, che si conserva negli antichi edifici delle nostre città storiche.
Si presenta in questo volume un‟attività urbanistica ed architettonica attenta ai valori della complessità formale ed estetica degli spazi urbani e degli oggetti che la costituiscono, nella convinzione che sia compito del progetto stimolare la domanda collettiva di „qualità‟ diffusa e farla crescere, nella prospettiva di migliorare l‟ambiente in cui viviamo, ricomponendo, nei limiti del possibile, la distanza fra bellezza e realtà.
Fine ultimo è quello d‟innestare una filosofia riflessiva della forma e della sua conservazione a partire dall‟interpretazione storico-critica del processo di produzione e trasformazione della forma urbana – nella città storica come in quella diffusa – per ritrovarne il significato e la memoria delle „cose‟.
L’esame del laboratorio 2 del prof. G. Strappa
si terrà VENERDI’ 29 APRILE 2011
dalle ore 11,00 in aula 7
per sostenere l’esame occorre registrarsi sul portale INFOSTUD
https://stud.infostud.uniroma1.it/Sest/Log/Corpo.html
si raccomanda, per una eventuale mostra dei lavori, di portare all’esame, oltre al book di tutte le esercitazione e degli schizzi preparatori, un DVD o CD ROM contenente tutte le tavole d’esame nel loro formato (A1), non i DWG di autocad o il PDF, ma una immagine raster della tavola in formato JPEG o TIFF a colori (300 dpi) e scrivendo sulla copertina il proprio nome, corso, seminario, titolo progetto, email e telefono.
Il quartiere di Quinto a Genova, progettato da Gianfranco Caniggia nel 1981/82, è un esempio di vitalità della nozione di tessuto anche nel pieno della crisi che, almeno dalla fine degli anni ’60, aveva investito il progetto di edilizia pubblica e sociale in Italia. Agli inizi degli anni ’80 si assiste, peraltro, ad una revisione dell’atteggiamento astraente di molta edilizia pubblica. E’ il periodo in cui si costruiscono, a Roma, quartieri come il Quartaccio (P. Barucci ed altri) Cecchignola sud ed Acilia (D.Colasante ed altri), il margine urbano di Settecamini (P.Gori), i quali testimoniano un accentuato realismo nei confronti della periferia urbana, nel tentativo di costruire, in qualche modo, organismi aggregativi di scala ridotta e con maggiori legami alle preesistenze di quanto si fosse edificato fino ad allora.
Il quartiere disegnato da Caniggia è costituito dall’aggregazione di case a schiera, in parte ad alloggi sovrapposti, e case in linea lungo percorsi che seguono l’orografia del promontorio orientato verso la costa, senza accentuate gerarchizzazioni nei volumi e nelle nodalità.
I tipi edilizi presentano continue varianti di posizione dovute ai diversi dislivelli incontrati nei percorsi, ed alla diversa dimensione delle unità edilizie.
Le case in linea, fino a sei piani, con due appartamenti per corposcala, sono concentrate nella parte più vicina alla piccola piazza del quartiere.
Le case a schiera, di spessore variabile tra 4,30 m e 5,70 m, con profondità condizionata, di volta in volta, dal fianco della collina che consente ridottissime e irregolari aree di pertinenza, di altezze variabili tra i tre e i quattro piani, hanno la scala parallela al percorso, in continuità, a volte, con la tradizione della casa ad atrio”, a volte con la casa con profferlo (in funzione della diversa collocazione nel tessuto) con il piano terreno occupato dall’autorimessa.
L’intervento ha un’intenzione dichiaratamente dimostrativa e didattica: contro l’esasperata intenzionalità architettonica che finisce per assimilare gli interventi abitativi a grande scala all’edilizia specialistica, continuando un equivoco che risale alla prima metà dell’Ottocento, l’architetto propone la nozione di tipo e tessuto come portato, seppure mediato dal progetto, della città “dei fruitori” contro la città oppositiva “degli intermediari”.
L’intervento vuole non solo individuare, ma esprimere sinteticamente i caratteri dell’edilizia di base come portato della vita del tessuto, soggetto di continue mutazioni che l’architetto “spiega” attraverso la delega agli abitanti di decidere alcuni elementi significativi dell’intervento, dai diversi colori che individuano le singole unità abitative, ai dettagli delle finiture prefabbricate che riguardano l’involucro degli edifici, quasi ipotizzando gli esiti di una nuova “coscienza spontanea” consentita dalla produzione industriale e dal mercato, in modo non diverso da quanto avviene per gli “optional” consentiti dall’industria automobilistica.
G.S.